Recensione di Claudio Delicato
Ho la fortuna di conoscere – anche se solo virtualmente – la mente del progetto The Fuck Yous: Simone Storci, in arte Livefast, è infatti un popolare blogger che nei post usa un numero di parole raramente superiore al pur altissimo pagerank del suo sito (5).
Alla luce di ciò è quindi evidente che il primo aspetto a cui ho dato attenzione siano i testi, che si confermano in linea con lo stile che contraddistingue il blog di Livefast: ironia cinica, pungente e scanzonata, arricchita peraltro dal fatto che Simone ha una padronanza dell’inglese fuori dal comune, in un panorama in cui il modello più fortunato cui si rifanno i gruppi che cantano in questa lingua è Flanagan. I testi sono appunto il vero aspetto vincente di un gruppo che non teme di sentirsi ridicolo né di offendere nessuno cantando liriche come “all that Geena likes to do is sucking dicks” o intitolando un proprio pezzo The right to marry a goat.
Dal punto di vista musicale Meat The Fuck Yous non è certo il prodotto più innovativo della storia, ma dà l’idea di essere un disco spontaneo, sincero, di pancia: l’album di chi ha il grunge nella tasca dietro dei pantaloni, un approccio alla Tre Allegri Ragazzi Morti ma con molte meno magliette tarocche dei Nirvana con lo smiley. L’esordio dei Fuck Yous in questo senso fa tenerezza perché pare in tutto e per tutto realizzato esattamente come è stato pensato. Prodigi dell’autoproduzione? È possibile.
Gli episodi più felici sono di certo l’opening track, The ballad of Lindsay Lohan e Don’t paya, una sorta di Territorial pissing ambientata in provincia di Modena e con il gnocco fritto al posto del burro di arachidi. Il missaggio è abbastanza sudato e una menzione particolare merita sicuramente l’artwork dell’eterno Astutillo Smeriglia, eccellente blogger, regista, qualcosaltrista e amico (virtuale e non) del leader della band. Per finire, il disco si può scaricare gratuitamente dal sito dei Fuck Yous, per la gioia degli ascoltatori più fricchettoni.
Ci sarebbero tanti modi possibili per concludere questa recensione, ma le parole più efficaci vengono senza dubbio proprio da un post dello stesso Livefast:
L’importante è produrre arte che sia fruibile in guisa di pugnetta: breve, solitaria, piacevole e immediatamente dimenticata. Non dico che le altre forme d’arte – quelle lunghe, comunitarie, dolorose e a lungo ricordate – siano meno rispettabili, soltanto che non le pratico e dunque non posso dirne nulla.
MEAT THE FUCK YOUS – THE FUCK YOUS
(Autoproduzione, 2012)
- Geena (queen of the backyard)
- Don’t paya
- King of rock
- Killers & then die
- Alide
- All is relative (but The Fuck Yous)
- The right to marry a goat (Saint Dalmés)
- Any other title
- Smart riot
- No shoes
- The ballad of Lindsay Lohan
- Swastika shaved pussy
THE FUCK YOUS SUL WEB
Claudio Delicato è anche su ciclofrenia.it™ (Facebook/Twitter)