RECENSIONE: Moby – Innocents

Recensione di Gabriele Mastroianni

In questa recensione riusciremo a parlare di Moby e del suo nuovo album Innocents senza parlare di yoga, diritti degli animali, veganismo, dei suoi live troppo cool, dei suoi 20 milioni di dischi venduti in carriera e della sua perfetta boccia pelata da fare invidia al Michael Stipe di turno. Col quale peraltro, in un momento di grande carità (l’àgape altro tòpos mobiano) ha collaborato.

Un album pieno zeppo per l’appunto di collaborazioni: 7 tracce su 12 hanno meriti condivisi, tra l’altro con artisti del calibro di Wayne Coyne (The Flaming Lips), Mark Lanegan (Screaming Trees, Queens of the Stone Age), Damien Jurado e Skylar Grey. Collaborazioni che hanno il buon risultato di innestare sul grandissimo talento visionario dell’artista americano nuovi sound e nuove vibrazioni vocali, senza per questo alterare lo stile originario del pelato vegano. Il miracolo di questo album va infatti ritrovato nel meraviglioso equilibrio che si viene a creare, nella maggior parte delle tracce, dalla nuova spinta artistica dei partner musicali e lo yoga mistico spaziale di Melville.

In questo album l’artista newyorkese abbandona i suoni chiusi, claustrofobici di Destroyed (2011), ritorna alla mitologia futuristica di Wait for me (2009), trascurando le sue (poche) sperimentazioni rock. Hotel (2005) sembra, nella sua particolarità, definitivamente alle spalle. Senza bestemmiare e dire che c’è qualcosa di Play (1999), che è probabilmente uno dei dischi più importanti degli ultimi 15 anni per l’elettronica, l’ambient, la musica in generale, mia cugina e il portafoglio di Moby, mi accontento di sentire un gran space-sound che riecheggia i fasti di 18 (2002).

A darmi ragione e a dare ragione all’umanità intera arriva la prima traccia Everything that rises. La prima traccia non mente mai, corrisponde al messaggio che vuole dare l’artista del disco. E questo disco per Moby significa un qualcosa che cresce dentro di sé, che sale, da terra fino a esplodere in cielo (omaggiando gli Explosions in the sky). Un viaggio alla ricerca degli innocenti e di un’innocenza perduta. In A case for shame il DJ supercool abbandona i suoni completamente sintetici e viaggia guidato dalla voce calda di Al Spx dei Cold Specks alla ricerca di una umanità e di una caducità felice.

Continuando il viaggio onirico, la voce angelica di Damien Jurado ci culla nella bellissima Almost home. Dopo la preparatoria Going wrong, arriviamo alla traccia numero 5, The perfect life, dove si ha l’impressione di essere arrivati all’apice del disco. La voce di Moby e di Coyne accompagnate da un coro di angeli sembrano portarci in trionfo in cielo. È impossibile non farsi trascinare dalla traspirante felicità della canzone, quasi gospel. Nulla impedirà di sentirla nelle chiese dalla 120esima strada in su di Manhattan o di ritrovarla come nuovo inno di Scientology.

Ma l’album non è finito e il percorso non è completo; le due canzoni seguenti, The last day e Don’t love me svelano l’intento di Moby: il percorso è fai da te. Non devi seguire il numero delle tracce, l’ordine è provvisorio. Il viaggio di crescita, morte e rinascita te lo fai te. Infatti se The last day (con una sorprendente Skylar Grey) ti trascina dentro un limbo emozionale, Don’t love me (con la voce black di Inyang Bassey) è permeata di sicurezze e da un ritmo soul-funk-blues da far impavidire gli specialisti dei generi. La 8 è la dolcemente ossessiva, ripetitiva, sensuale A long time. La numero 9, Saints, è trascurabile. Nella 10, Tell me, ritroviamo la voce di Al Spx, ma stavolta non emoziona.

La traccia numero 11, The lonely night, sembra perfettamente contrapporsi a The perfect life; sia da un punto di vista sonoro che emozionale. La felicità della precedente stride con la solitudine di questa. Lanegan sembra aver ingoiato il mondo e con questo anche il leader dei Flaming Lips. Una voce profonda e tetra canta che nella sua solitudine ha visto Gesù vestito come un soldato. A chiusura del disco The dogs con i suoi 9 minuti e 23; impossibile da non amare dopo una decina di ascoltate e dal testo a dir poco meraviglioso.

C’erano volte che ti chiedevi cosa s’erano fumati quelli della Silent records per scrivere frasi tipo: “la musica ambient è stata inventata dall’oceano” o “la musica ambient è venuta per salvare la tua anima”. Ma mentre senti A case for shame o Almost home capisci che non sono pazzi; mentre stai in casa ascoltando il disco, non ti sorprenderebbe voltarti e vedere una manta che attraversa la parete della tua stanza ora diventata trasparente, immersa nelle profondità dell’oceano.

D’altronde Moby (Dick) viene dal mare e di quello racconta.

INNOCENTS – MOBY
(Little Idiot/Mute, 2013)

  1. Everything that Rises
  2. A case for shame [feat. Cold Specks]
  3. Almost home [feat. Damien Jurado]
  4. Going wrong
  5. The perfect life [feat. Wayne Coyne]
  6. The last day [feat. Skylar Grey]
  7. Don’t love me [feat. Inyang Bassey]
  8. A long time
  9. Saints
  10. Tell me [feat. Cold Specks]
  11. The lonely night [feat. Mark Lanegan]
  12. The Dogs

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