Live report di Francesco Buzzella
Jon Hopkins intraprende il suo cammino musicale all’età di 5 anni, studiando pianoforte e proseguendo gli studi alla Royal College of Music di Londra. Il suo genere musicale appartiene alla vasta famiglia dell’elettronica, arricchita dal suo elegante impatto compositivo con influenze IDM e atmosfere ambient che permeano ogni suo beat. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio docente emerito di questa disciplina.
Quando Jon si affaciò sulla scena musicale con Opalescent nel 2001, diede subito l’impressione agli intenditori del genere di trovarsi in presenza di un autentico predestinato. Infatti, accolto con fervore dalle spietata critica inglese – che lo ha etichettato come il “nuovo Brian Eno” – la sua carriera sembrava destinata a decollare esponenzialmente. Purtroppo all’uscita del suo secondo lavoro (Contact Note del 2004) ha registrato un brusco calo di gradimento; ma quando tutto sembrava perduto sono corse in suo aiuto le stupende collaborazioni con il magico Brian Eno i Coldplay e i Massive Attack, che hanno riportato il Londinese sulla cresta dell’onda. Fatto tesoro di quegli insegnamenti, il professore è tornato a mostrare la sua cristallina arte con l’album Insides (2009) e con la sua ultima fatica, Immunity (2013), l’unico album autoprodotto da lui stesso.
Giunto in terra pugliese in qualità di ospite della rassegna musicale Times Zones, sulla via delle musiche possibili in collaborazione con KODE_1, Jon ha fatto il suo ingresso all’Eremo Indie Club di Molfetta in punta di piedi. Dopo una fervente attesa – riscaldata dalla performance UK-garage del duo italiano dei Bedford Avenue – è sceso il silenzio e sul palco ha fatto capolino un ragazzone timido, a tratti intimorito dal calore del pubblico, ma che dopo lo start si è trasformato in un animale da palcoscenico iniziando una danza ancestrale ricca di beat curativi, intervallati da suoni di prepotente bellezza che hanno lasciato tutti senza parole. Con il brano Insides si sono toccate vette oniriche indescrivibili e dai suoi Kaoss Pads, sapientemente manipolati, è riuscito a generare onde sonore capaci di portarti altrove, di condurti in uno stato sognante.
Con il brano Open eye signal, tratto dal suo ultimo album , il Britannico ci risveglia da questo Nirvana musicale e sembra riportarci alla realtà con sonorità più cupe ma sempre eleganti e raffinate che meglio rappresentano la sua maturità come artista. Un artista che finalmente è uscito dal bozzolo ed è diventato concreto, compatto e completo.
Mai superflua e banale, la sua performance si rivela coinvolgente perché riesce a raccogliere tutto ciò che c’è di buono nel panorama elettronico contemporaneo: dalle influenze armoniche alla Brian Eno alle sonorità IDM, fino alle tracce di techno e dubstep sapientemente intrecciate grazie alla sua abilità nell’utilizzo delle macchine. Jon Hopkins è capace di assemblare stili diversi che carpiscono l’attenzione di una grande varietà di pubblico, conferendo al suo live set diverse sfaccettature.
Con il brano Vessel si conclude il viaggio nell’universo di Jon Hopkins ma all’insaziabile pubblico dell’Eremo resta ancora tempo per ascoltare, a grande richiesta, un’altra traccia con la quale il professore si congeda. Settanta minuti di puro incanto, di riconciliazione con il mondo, di un universo musicale in continua espansione. Il poeta tedesco Heinrich Heine un giorno ha detto “dove finiscono le parole inizia la musica”: Jon Hopkins riesce a incarnare benissimo questa massima senza che ci sia il bisogno di aggiungere altro.
Photo report di Michele Battilomo
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