Recensione di Andrea Barbaglia
Mai un attimo di requie. Non soddisfatto delle già ottime reazioni ottenute dagli infiniti tour ad alto voltaggio in società con l’imprescindibile sodale Cesare Petulicchio, Adriano Viterbini sceglie il 2013 per dare alle stampe (forse anche un po’ a sorpresa) il suo primo disco solista. Goldfoil rimanda fin dal titolo a una particolare marca di pick-up usati – sia detto per inciso – anche da Ry Cooder, mito dell’allora adolescente Viterbini che, imbracciata da giovanissimo una chitarra, da autodidatta avrebbe trovato in essa uno sfogo costruttivo per liberare le proprie emozioni.
Instancabile e indefesso, oggi più che mai il chitarrista romano ha modo di dar voce alle sue mai celate passioni musicali, proposte in una versione ulteriormente minimale, spogliate dei già pochi, essenziali orpelli con cui si erano sfacciatamente rivelate in your face nelle scalmanate esibizioni dei Bud Spencer Blues Explosion.
Qui è la chitarra ad assurgere ovviamente a ruolo di assoluta protagonista, tracciando e definendo il solco tra la tradizione blues del Delta e quella al di qua del Tevere. La crescita musicale e umana di Adriano fa sì il paio con la ricerca e la riscoperta del primitivo suono delle origini, ma non dimentica neppure il fatto di come spesso sia il semplice piacere di suonare per suonare la chiave di volta per apprendere i segreti dei veri bluesman. E Viterbini bluesman lo è; di ottima fattura per di più. Sono lì a dimostrarlo anche queste dodici registrazioni, catturate allo Studionero di Roma nel dicembre del 2012 da Daniele Gennaretti, capaci di cogliere lo stupendo suono delle chitarre utilizzate di volta in volta per restituire a ciascuna composizione la voce della propria anima.
“Quanta dolcezza può nascondersi in un arpeggio!?”: Kensington blues è l’accorato omaggio al chitarrista americano Jack Rose, scomparso prematuramente qualche inverno fa, portato via troppo presto da un infarto a neanche quarant’anni nel pieno della sua creatività. Viterbini ne ripercorre la frizzante armonia originale rallentandola e dilatandola fino a ottenere un’atmosfera dolcissima ed evocativa che conquista fin dai primi ascolti.
Un uso intimo della chitarra ritornerà nelle atmosfere composte che la rilettura della storica If a were a carpenter offre all’ascoltatore e si cristallizzerà attraverso la slide di una frugale e passionale Immaculate conception. Lo stomp box di God don’t ever change diventa presto il cuore pulsante del suo crescendo liturgico intriso di malinconia gospel e tensione mistica mentre la frenesia di Montecavo e gli arpeggi in fingerpicking di Lago Vestapol evocano le scorribande spensierate battute dal sole della gioventù (“ha il profumo dei posti in cui sono cresciuto; vedo il lago di Castel Gandolfo e le giornate da ragazzo con i miei amici,” afferma Adriano) in un’alternanza tra naturale irrequietezza e rilassato appagamento.
Con i suoi volumi incredibili una Style-O anni ’30 ruba la scena nell’omonimo blues (a metà strada “fra Robert Johnson e il più recente Alvin Youngblood Hart”) e nella più complessa No name blues. Crepita anche il deserto con i landscape sonori prodotti da Alessandro Cortini, ospite nella New revolution of the innocents, e si incendia addirittura l’Africa dei tuareg in Blue man. Omaggio conclusivo a Woody Guthrie con il classico Vigilante man che vive del suo prolungato assolo ascendente.
È tutta questione di pick-up, humbucker, manici, ma soprattutto di gusto e sensibilità; passione vera e genuina, senza filtri. Fatevi cullare da mondi imperfetti e riscoprirete l’ancestralità delle forze superiori. Dalle radici ai piani alti dell’anima.
GOLDFOIL – ADRIANO VITERBINI
(Bomba Dischi, 2013)
- Immaculate conception
- Kensington blues
- God don’t ever change
- Blue man
- New revolution of the innocents
- No name blues
- Style-O blues
- Lago Vestapol
- Montecavo
- Stella south medley
- If a were a carpenter
- Vigilante man
[youtube=http://youtu.be/6biDkR1utqA]
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