Live report di Claudio Delicato
Il 9 maggio 2014 all’Atlantico Live si verifica un fenomeno curioso: quello di un gruppo che gioca in casa – madre Roma, in una serata con compagni di etichetta e amici – e fuori casa al contempo, perché più a Roma sud di così I Cani non si erano mai spinti; non a caso il primo pezzo della setlist è proprio Roma sud, tratto dall’ultimo album Glamour.
Prima di loro si esibiscono i bravi Testaintasca, anch’essi della scuderia 42 Records, e I Mostri, che pur non proponendo nulla di originale risultano tutto sommato gradevoli e capaci. Al gruppo di Pietro Di Dionisio devo però fare un appunto: prima dell’ultimo pezzo Cento lame il vocalist si lancia in una filippica su quanti dubbi avesse nel partecipare a questa serata, perché aveva “paura dei fan de I Cani.” In particolare se la prende con un ragazzo che nei giorni precedenti li ha offesi su Facebook, e di tutta risposta gli regala “10 secondi di celebrità” sbattendo il suo faccione sul proiettore per esporlo al pubblico ludibrio. Una rosicata inutile: se consideri questi hater delle nullità almeno trattali come tali, e comunque che senso ha dire che hai paura dei fan de I Cani per poi comportarti esattamente come loro?
Alle undici passate sale sul palco il gruppo di Niccolò Contessa. C’è poco da dire: I Cani sono migliorati moltissimo in sede live rispetto al tour del loro Sorprendente album d’esordio, quando probabilmente Niccolò aveva dovuto mettere su un gruppo in quattro e quattr’otto per affrontare un tour di un successo che forse non si aspettava neanche lui. La formazione a quattro (due synth, un basso e batteria) è più snella rispetto alla precedente, in cui c’era un terzo synth: ognuno ha ben chiaro cosa deve fare senza overlapping e i suoni sono molto meno saturi. Anche gli effetti visivi, seppur semplici, risultano gradevoli, e lo stesso Contessa è migliorato parecchio a cantare; non è certo diventato Robert Plant, ma strilla molto meno rispetto a tre anni fa (o almeno, strilla quando è opportuno) e controlla bene la voce. L’unico consiglio che posso dargli su questo aspetto è farsi accompagnare da qualche controcanto, che migliorerebbe la qualità di una performance altrimenti molto faticosa.
I pezzi che funzionano meglio sono quelli tratti dal secondo lavoro Glamour: si vede che sono stati concepiti in studio e non in cameretta (Come Vera Nabokov, FBYC (s f o r t u n a) e Storia di un artista viaggiano che è una bellezza). Ci sono sensibili miglioramenti anche sulle canzoni del primo disco, con I pariolini di 18 anni e Velleità arricchite da interessanti assoli di synth, e Contessa gestisce bene la setlist fra i pezzi più spinti e quelli in cui può riposare la voce, con la bella Lexotan in chiusura (un pezzo adatto a essere cantato da stanchi) assieme a 2033 con Matteo Bordone e l’opportuna dedica finale a Enrico Fontanelli.
Ma, miglioramenti tecnici a parte, il maggior punto di forza de I Cani dal vivo è la sensazione di trovarsi di fronte a un gruppo che sa di cosa sta parlando, che dopo aver raccontato (come nessuno aveva fatto prima) un sottobosco culturale che esiste e rivendicava una voce, si è spostato nel secondo album verso una composizione musicale più diversificata e una prospettiva personale nei testi, pur non tradendo la sua poetica. Ciò dà a I Cani una sicurezza che va al di là delle prestazioni sul palco e rende un loro concerto esattamente ciò che dovrebbe essere: l’incontro di persone che si ritrovano in un modo comune di vedere il mondo, un modo che va dalla falce dei pezzi più corrosivi alla malinconia di quelli più intimi.
Claudio Delicato è anche su ciclofrenia.it™ (Facebook/Twitter)