Recensione di Gaia Caffio
L’orientamento nell’ambito musicale è un ostacolo: imbriglia e involve. Late for a song, l’ultimo disco dei Dead cat in a bag, è un’opera di sano smarrimento. Molti punti di riferimento ruotano in un vortice di influenze, citazioni e ispirazioni intorno a un lavoro che dal primo ascolto non sa comunicare alcuna direzione certa, aldilà di un suono da subito ben distinguibile e avvolgente. Una stanza che accoglie e trattiene senza troppi ornamenti superflui.
I Dead cat in a bag (c’entra Mark Twain e non Schrodinger) sono un disincantato quintetto di Torino (Luca Swanza Andriolo, Andrea Bertola, David Proietto, Scardanelli, Roberto Abis) al loro secondo album per la ViceVersa Records. Una band che difficilmente lascia indifferenti, tra le più peculiari del panorama italiano. In Late for a song troviamo quindici brani ventosi in bianco e nero, dai testi poetici e non tristi a dispetto delle ambientazioni ma di certo drammaticamente profondi. La stabilità e forza dell’album è tutta nelle sonorità ibride create con un mix di strumentazione tradizionale ed elettronica che nei vari pezzi disegnano scenari western, balcanici, francesi e sud americani. Dal finestrino di un treno scorrono deserti, polvere e fiumi di città lontane tra loro e soprattutto da noi. Nulla di meramente tradizionale e passato, ma una riuscitissima opera di ritualizzazione degli scenari sonori alla Nick Cave con un aperto sguardo a Mark Lanegan (per dirne solo alcuni, perché ce ne sarebbero molti altri da citare).
La cupa Not even more (perfetto incipit per un film western) e gli arpeggi di Nothing sacred (primo saggio della voce penetrante di Luca Andriolo) aprono l’album introducendo l’incalzante Ravens at my window (senza dubbio il pezzo più meritevole dell’album) e i violini della bellissima Za późno na piosenkę. Seguono pezzi dai tempi dilatati e sussurrati, una The house of the rising sun tetra, raffinati ritmi balcanici, campionamenti, fisarmoniche, vibrafoni, voci dolenti, chitarre elettriche e percussioni di ogni genere. Quindici pezzi addensati e compatti, tutti di grande effetto, curati nei suoni e ben arrangiati.
Siamo sempre alla ricerca di suoni potenti che ridimensionino traumi e sentimenti di ogni sorta; questo quintetto torinese li ha trovati. Spesso guardiamo indietro dicendoci che viviamo in un’epoca piatta, dopo aver passato in rassegna la nostra personale galleria di orrori musicali italiani (e non). È arrivato il momento di capire che è una pigra scusa: abbiamo tanto da scoprire e apprezzare e sicuramente i Dead cat in a bag sono fra i gruppi che ci risvegliano da questo insano torpore.
LATE FOR A SONG – DEAD CAT IN A BAG
(ViceVersa Records, 2014)
- Not even more
- Nothing sacred
- Ravens at my window
- Za późno na piosenkę
- Silence is not pure
- The house of the rising sun
- Unanswered letters
- Trop tard pour une chanson
- Old shirt
- Wanderer’s curse
- Once at least
- Just like Asbestos
- It’s a pity
- Tarde
- All those things
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