Recensione di Giovanni Sabatini
Tra i vari criteri secondo i quali scelgo un nuovo disco da ascoltare c’è il titolo. Quanto mi fa pensare? Quanto mi fa sognare? Viaggiare?
Appena ho realizzato che il nuovo lavoro dei toscani Verily So si sarebbe chiamato Islands mi sono detto: “anche loro?” Nel 1971 è uscito il numero quattro dei King Crimson con lo stesso nome. Sei anni dopo esce Islands dei The Band. Negli anni ottanta intitolano allo stesso modo i propri lavori i Kajagoogoo e Mike Oldfield. Nel 2009 è la volta dei The Mary Onettes. Ora i Verily So. Mi siedo. Ma quanta semplicità e complessità si nasconde in una singola parola. Seguo la band da quando era in fasce (pure io lo ero) per cui, spinto da grande curiosità, premo play. A un tratto, tutto è chiaro. Evidente.
Le isole siamo noi, ci muoviamo in una deriva perenne, a volte ci tocchiamo, ci abbracciamo, altre ci scontriamo, ci lasciamo, ci perdiamo. Siamo sempre divisi e questo ci complica le cose, ci rende difficile esprimere noi stessi, comunicare. A nostra volta però siamo arcipelago che, come a seguire il nostro respiro e battito del cuore, allontana le proprie parti e le avvicina. A fasi alterne le vite in noi dilatano e riducono la distanza che le separa. Islands è tutto questo. Quindi, adesso, posso iniziare a scrivere.
A tre anni di distanza dal tanto apprezzato self titled, i cari Luca, Marialaura e Simone, avvalendosi della new entry alla batteria Antonio Laudazi, ci regalano un nuovo importante lavoro. Otto tracce che ci fanno tornare un po’ indietro, con la mente e con il cuore, abbracciando un po’ quelli che sono gli ultimi trent’anni di musica. Il disco è compatto, inscindibile. È qualcosa da mandare in loop. Il primo brano To behold è l’apertura perfetta di qualsiasi album. Entra in punta di piedi con feedback, linea di basso e voce di Marialaura per poi caricarsi gradualmente. Esattamente quando vuoi. Una volta terminato lascia spazio a un’altra perla (Cold hours) con dei vaghi richiami ad Anna Calvi, reminiscenze che si fanno sentire maggiormente in Nothing in the middle.
Altri ascolti dei Verily So? Gli Arcade fire di Never come back, i (vaghi) Low dei cori nella coda di Sudden death e poi tutto lo shoegaze, new wave e dream pop che avete in mente, perché, anche se a piccole dosi, si trova sparso ovunque. Unico calo si ha al sesto brano con le due voci e il pianoforte suonato da Federico Ciompi: la malinconia di Not at all arriva a un livello decisamente troppo alto, e se negli altri l’attenzione rimane alta grazie a chitarre distorte con riff che penetrano le orecchie, questo piombare nella pesantezza/leggerezza del piano ci fa perdere l’equilibrio e sbucciare un po’ le ginocchia. Comunque rimane l’unica nota negativa. Positivo è tutto il resto e tutto il resto è da non perdere.
È difficile giudicare un lavoro di questo tipo dopo il loro esordio con il botto, ma nonostante tutto, i Verily So riescono a tenergli testa. È raro trovare delle artisti che, con pochi cali, riescono a tenerti su di giri dall’inizio alla fine. Da non sottovalutare è anche il distacco da questa superitalianità che spesso ammazza band brave che muoiono bestemmiando con una pronuncia pessima. Tutto questo conferma che il precedente grande successo deriva da ottimo orecchio, competenza e maturità. La fortuna non gli serve, ma gliela auguro comunque.
ISLANDS – VERILY SO
(W//M Records/V4V Records, 2014)
- To behold
- Cold hours
- Never come back
- Sudden death
- Ode to the night
- Not at all
- Nothing in the middle
- Islands
[youtube=http://youtu.be/97Fv-pNkOy4]
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