Live report di Clara Todaro, tutte le foto di Fabrizio Bisegna
Se l’ultima immagine che avete impressa nella memoria è quella di un ragazzo dal bel visetto nascosto sotto la frangetta cadente sulla fronte, con un paio di jeans e una t-shirt che sembrano puliti, cancellatela e figuratevi un Paolo Nutini con una nuova mise e un aspetto molto più maturo. Sembra davvero avere indossato delle scarpe nuove.
È salito sul palco del Rock in Roma lo scorso 19 luglio presentando Caustic Love, il terzo e ultimo album, uscito dopo una ricerca durata ben cinque anni. La crescita artistica si vede e si sente. Indossa uno stile total black, con una giacca di pelle nera che toglierà solo a metà concerto e che gli dà tanto l’aria del latin lover anni ’60. Quando non suona tiene entrambe le mani sul microfono attaccato all’asta e canta col capo reclinato su un lato (il mio, per fortuna), in una perfetta posa da conquistatore consumato e con una voce strappata all’R’n’B. Sì, perché oltre al bel visino che innamora soprattutto il pubblico femminile, non bisogna dimenticare che Nutini ha delle tonalità degne del black soul di Otissiana memoria (per dirne uno), eppure è uno scozzese, e bianco per giunta!
Il groove gioioso di Scream (funk my life up) apre il concerto e al grido dell’hallelujah i fan si scatenano. Dopo Let me down easy e Coming up easy pronuncia il primo saluto accompagnato dal lancio di palloncini bianchi che veloci si librano nell’aria. Con la seconda canzone mi sento già perfettamente nello spirito del concerto. Stupendo! Non ho mai percepito l’amore con un animo più caustico di questo: lascio il mio gruppetto qualche metro più indietro per guadagnare una posizione migliore e invece mi ritrovo letteralmente accerchiata da coppiette di fidanzati in tenere effusioni. Il momento di maggior acredine per me è quando iniziano a dondolarsi in una specie di vecchio ballo del mattone sul graffio straziante di No other way o sulla melodia di Better man. Poi qualcuno fa svolazzare sulle teste delle prime file un palloncino fatto con uno dei condom distribuiti all’ingresso! Ci mancava solo questa… ecco l’amore pungente, la musica dell’anima.
Nutini vuole far sentire che il cambiamento è avvenuto durante il lustro di pausa e, forse proprio per questo, del primo album mantiene solo Alloway grove, Jenny don’t be hasty (alla quale mette in coda una quasi irriconoscibile New shoes appena accennata) e Last request a chiudere il concerto. Del secondo album ne suona un po’ di più (Funky cigarette, Tricks of the trade, Growing up beside you) ma spesso con nuovi arrangiamenti, tipo per Pencil full of lead e Candy (fatta tra l’altro in acustico).
C’è un chiaro ripiegamento più marcatamente soul sia nella scelta dei pezzi che nelle varianti realizzate. Inoltre Paolo non è di molte parole e lascia che le canzoni si esprimano per lui, perciò si limita a reiterati “buonasera” e “thank you” che, non si sa bene se per la probabile alterazione del grado alcolico o per lo slang scozzese, risuonano un po’ troppo biascicati. Qualcuno accanto a me scherza sul suo “dank you”: “ma è burino o scozzese?!” Effettivamente un po’ di sangue italiano gli scorre nelle vene e ha più volte dichiarato di amare certa musica del nostro paese. Ed è in onore di questa, sul finire del concerto, il suo tributo a Lucio Dalla con una versione acustica e rivisitata di Caruso. Sorrido per il suo italiano dalla pronuncia tanto debole, si vede che il padre (toscano di Barga) non deve averglielo insegnato tanto bene. Ma che importa, a parte questo omaggio comunque apprezzabile, la sua performance è stata meritevole!
L’acme della serata trovo sia un brano tratto proprio da Caustic love. Dopo Looking for something, Diana, One day e Cherry blossom, è finalmente Iron sky a dare i brividi! È il tuo preferito, quello che hai ascoltato in loop per giornate intere, quello che da solo può spingerti a comprare il biglietto di un gruppo che conosci a malapena, quello per il quale sei disposto a sudare sette camicie anche sotto la canicola di un afoso pomeriggio agostano. Iron sky è perfetta nel grido di Nutini. Come nella registrazione presso gli storici Abbey Road studios, ci sono tastiera, fiati e chitarra… quando sul discorso all’umanità di Charlie Chaplin ne Il grande dittatore esplode anche l’applauso della folla emozionata!
È in quel momento che mi sento ripagata e appagata di tutto. Che importa l’aggettivazione! Caustico o meno, sempre di amore (per la musica) si tratta.