INTERVISTE: MOTHER TONGUE – GARY DOURDAN

di Clara Todaro

Tenebroso, bellissimo e anche un po’ dannato, ha fatto il modello e ha recitato per il teatro, per il grande e per il piccolo schermo. Gary Dourdan adesso torna alla sua vera passione, quella per la musica, ed esordisce con Mother tongue, un album dai ritmi un po’ funky un po’ blues, uscito il 19 Maggio scorso, sotto un’etichetta tutta italiana (la Mescal). Il primo singolo estratto è la prima traccia del disco: The end è una nuova partenza di un nuovo Gary Dourdan.

Sei considerato un sex symbol in Italia – e non solo –, meglio conosciuto come Warrick Brown nella famosa serie televisiva CSI – Scena del crimine, adesso hai deciso di tornare al tuo primo amore: la musica. D’altronde tuo padre era manager di musicisti jazz. Ci puoi raccontare degli studi fatti o dell’educazione musicale che hai ricevuto? Sì, mio padre si occupava di artisti jazz poco conosciuti a Philadelphia – è stato anche il manager di mio zio che a quei tempi aveva una band – e andava forte negli anni ’80, quando io ero giovane. Per quanto riguarda la mia educazione, io ho iniziato studiando il sassofono – che mi regalò mio zio quando avevo tredici anni – mentre mio fratello maggiore, invece, era un flautista. Quindi ho cominciato con il sassofono, ma poi ho capito che lo strumento che faceva per me era la chitarra, così ho continuato a studiarla, insieme alla batteria. Poi sono andato alla New School for jazz and contemporary music di New York, ma è stato il periodo in cui ho iniziato a frequentare anche la Strasberg (The Lee Strasberg Theatre & Film Institute di New York, ndr.). E’ stato un po’ difficile dividermi nello studio tra musica e recitazione in teatro. Ho provato, ma New York non è una città facile. Probabilmente è qualcosa di simile a Roma, dove ci sono tante cose da poter fare.

Quali sono le differenze fondamentali per te tra recitazione e musica? Quale preferisci tra le due? Se per recitazione si intende quella in teatro, è grandioso perché il teatro è vita, a me piace la vita! Ma contemporaneamente amo i film perché danno molte possibilità. Anche la tv è una gran cosa: le telecamere possono renderti famoso dando buona visibilità e ottime occasioni. Insomma la tv offre sicurezza, ma talvolta la libertà risiede in mezzi più artistici, come i film, il teatro o il suonare dal vivo. Io credo proprio di preferire il live perché è più pericoloso, non puoi fare errori e devi per forza andare avanti. Quindi, tra le due, penso che sceglierei entrambi.

Tornando al tuo album, come mai hai deciso di registrare il cd con un’etichetta italiana (Mescal, ndr) ? Quella di registrare in Italia è stata una cosa che mi hanno proposto lo scorso anno e io l’ho trovata un’idea meravigliosa, perché amo l’Italia e qui ho anche tanti amici veri. Era un periodo – come a volte capita – di transizione. C’era sempre qualcuno dall’Italia che mi chiamava e mi diceva “dai Gary, vieni a passare un po’ di tempo qui!”. Così ho fatto e ora sto trascorrendo una fase bellissima. Inoltre adoro viaggiare per l’Italia che vanta tante belle città: sono stato a Siena, Firenze, Roma ovviamente, Torino, Milano, Venezia e in tante altre, diverse tra loro ma ciascuna con la propria storia. E per me non è altro che l’inizio della scoperta, con questo tour in Italia che penso sia proprio una benedizione.

A proposito di Italia, qual è la cosa che ami di più in assoluto? Una in assoluto, è difficile dirlo. La maggior parte delle persone forse risponderebbe “il cibo”, altri invece direbbero “le bellissime donne”: sono due cose vere certamente. Tuttavia quello che degli italiani amo di più – in generale e sopra ogni altra cosa – è il loro amore per la vita, che è diverso da quello degli spagnoli, dei francesi o degli americani. Gli americani sì hanno una bella aura, ma gli italiani sono forti, allegri, amano la vita e il buon cibo. C’è una differenza intrinseca, naturale, nella qualità del tempo e nel modo di trascorrerlo degli italiani, questa è una bella consapevolezza da possedere.

Mother Tongue – lingua madre – è il tuo album d’esordio, eppure il primo singolo si intitola The end, perché? Inizia dalla fine! Penso che sia un modo divertente di iniziare un album: dalla fine. Mi piaceva così perché una fine in realtà non c’è mai, tutto è ciclico e la fine di qualcosa è sempre l’inizio di un’altra. Era una transizione che volevo fosse evidenziata, prima di intraprendere una nuova partenza a livello musicale, o in generale artistico. Quindi The end è solo il nuovo inizio.

Nell’immaginario collettivo, il rocker, la grande star, viene quasi sempre figurata come un bad boy. Il tuo lato oscuro qual è? Penso che alcune persone possono avere un lato oscuro molto dannoso, ma è pure vero che tutti noi abbiamo contemporaneamente un lato chiaro e un lato oscuro. Credo che questo soggiorno in Italia sia una bella cosa per me perché per ora mi sento molto in contatto con il mio lato luminoso. Il mio lato oscuro sono io nella mia musica. C’è molta oscurità nell’album, perché amo la musica dark e amo i soggetti sensuali oscuri, che hanno in qualche modo una bellezza in sé. Ad esempio ho tantissimi amici, che sono pittori e musicisti, ai quali piace sperimentare quel lato – ciò non vuol dire che siano dei cattivi, fa solo parte dello strano dualismo dell’essere umano – e io mi sento molto a mio agio con persone come loro. Però per sapere qual è il mio lato oscuro, credo si debba ascoltare l’album e cercarlo lì dentro.

 

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