Live e photo report di Antonio Iovane
Sì, che poi c’è l’allegria di Espresso 222 o di A luz de tieta. Ci sono i passi accennati di samba di Caetano o il balletto finale di Gilberto che strappano matti sorrisi. Eppure, per tutta la durata del concerto, non riesco a non pensare a questo: alla strada durissima e dolorosa per approdare a quell’allegria.
È la fine degli anni ’60, Gil e Veloso hanno inventato il tropicalismo che è rispetto della tradizione ma apertura a un mondo sulla via della globalizzazione. “Sapevamo di voler condividere il linguaggio mondiale per diventare più forti come popolo e affermare la nostra originalità,” scrive Caetano in Verità tropicale. Volendo semplificare, il tropicalismo è bossa nova più Beatles. E siccome in Brasile c’era un regime militare che, come tale, ripudiava il nuovo, ecco che prende Gil e Veloso, taglia loro i capelli e li schiaffa in carcere. E poi, dopo il carcere, li caccia via dal Brasile, lasciando che tengano un ultimo storico concerto (1969) al Teatro Castro Alves di Salvador de Bahia per consentire loro di pagarsi il biglietto per l’esilio londinese. Insomma, Caetano e Gilberto cantano Coração vagabundo o Tropicália e io non riesco ad astrarli dalla Storia.
Era dal ’93 che non si esibivano insieme. Dovevo andare.
L’organico è minimal: due chitarre, due sedie, due bicchieri di vino (rosso e bianco). E questa è grande musica ma senza competizione, Gil e Caetano sono l’uno contro l’altro disarmati, il primo lascia spazio al secondo e il secondo lascia spazio a Gil, gli applausi per l’no sono accolti come applausi per l’altro. Caetano canta il suo strepitoso inno alla terra (Terra, appunto) mentre Gilberto, chitarrista eccelso, ricama. Poi è lui stesso, con la sua cover strepitosa di Tres palabras, che trasforma l’arena in una camera anecoica (detto volgarmente: tutti in silenzio ad ascoltare).
C’è Esotérico e c’è Drão e Sampa e Filhos de Gandhi e Odeio, c’è anche un’astuta versione di Come prima (Tony Dallara) by Caetano, e insomma questi due esiliati si prendono il pubblico inizialmente un po’ legnoso, alternando le fluide melodie di Caetano alle rudezze più rock e funk di Gil. E se Gilberto aveva cominciato il concerto con Back in Bahia, la canzone del ritorno in Brasile dopo quattro anni, Caetano canta Nine out of ten direttamente dalla Londra dei primi anni ’70. Niente concessioni agli album più recenti, questo è il concerto dell’amicizia impastata di Storia. Immagino un’epigrafe per queste loro due carriere meravigliose: “Volevamo solo vivere intensamente e poterlo raccontare.”
Poi i bis, e vai con l’assalto al sottopalco. Desde que o samba é samba di Caetano, Domingo no parque di Gil. E un altro bis imprevisto, A luz de tieta di Caetano, “Eeeta, eta eta eta,” cantano tutti mentre, abbandonate le chitarre, i due maestri lasciano il palco, Gil danzando e Veloso ammirando divertito. Si capisce, sono stanchi, neanche il tempo di tornare dall’esilio e già erano in concerto al Teatro Castro Alves di Perugia, questi due capelloni.