Live Report di Francesca Vantaggiato e Photo Report di Maria Elisa Milo
C’è del disagio. Meno male. Finalmente c’è qualcuno che lo ammette e lo suona, lo canta, lo urla. Il Milano Brucia Festival, a mio parere, ha messo insieme tre delle band più cazzute che il nostro universo musicale sia riuscito a generare negli ultimi anni.
Appena li ho visti sono rimasta stranita: pensavo fossero due tizi mascherati da Andrea Appino! Quando hanno iniziato a suonare, sono rimasta ancor più sconcertata, con gli occhi sbarrati e le orecchie godenti: gli Anthony Laszlo per me sono stati una rivelazione! Riff di chitarra che ti fanno girare la testa, martellate di batteria che ti pompano il sangue nelle vene, testi che ti fanno urlare. F.D.T. (Fuori di testa), secondo me, può essere innalzata a loro manifesto:
provo a cambiare ma non riesco a cambiare
farmi del male con le turbe mentali
le psicosi infantili, l’abbandono materno
sono quello che vuoi tu, cosa sei tu?
sono quello che vuoi tu, cosa sei tu?
vado fuori di testa
Mi sono piaciuti, mi hanno smosso il cervello e fatto divertire con i loro spostamenti irrefrenabili, avanti e indietro al palco, sopra e sotto alla batteria, intorno alle aste dei microfoni. Bella anche la gag di Anthony Sasso che smonta la batteria pezzo per pezzo, lasciando Andrea Laszlo De Simone ad arrangiarsi con quello che gli rimane, fino a scomparire anche lui nel backstage. Mi rimane solo una domanda: lo sanno che gli Shellac fanno la stessa identica gag, ma ad una velocità supersonica? (Immagino di si, perché hanno suonato nella loro Torino proprio pochi mesi fa…)
Nonostante li segua da tempo guardando in maniera ossessivo/compulsiva tutti i report dei loro concerti per vedere di cosa riescano a tirare fuori dal loro cilindro punk, e sebbene io abbia letteralmente DIVORATO il disco Acqua azzurra,Totò Riina, quella del Milano Brucia Festival è stata la mia prima volta coi Luminal. Ho visto, con questi miei occhi, l’ennesimo modo di cadere dalle transenne sperimentato da Carlo Martinelli. L’ho visto rotolarsi a terra tra la gente, suonare l’armonica in maniera sgangherata stando in ginocchio. E passargli la birra che stavo bevendo mi è sembrato il minimo. Mi è piaciuta Alessandra Perna con la maglietta dei Metallica (anche se ancora sto cercando di capire perché lo abbia fatto) e trovo che la sua teatralità sia spiazzante, piena di rabbia, di esasperazione. Anna e il caldo che ha non ti lascia dormire la notte. Peccato per Alessandro Commisso che, insieme alla sua batteria, è stato rilegato là in fondo, dove nessuno ha potuto vederlo sudare. Ma si sentiva, eccome. E quanto è stato divertente vedere tale Minestrone (un ventenne tra il pubblico) rispondere alla chiamata “c’è un bassista in sala?”, salire sul palco, imbracciare il basso di Alessandra e mettersi a suonare? Divini.
Che cosa rimane se ai FASK togli il loro coinvolgente carisma, i capelli lunghi di Aimone, i testi così realistici anche se pieni di immaginazione? Resta la musica. Intensa, emotiva, carica, elettrica. Resta un sentimento di profonda fratellanza che parte da loro e giunge intatto e forte fino al pubblico. Ai concerti dei FASK non c’è confine tra spettatori e band: sono una cosa unica (sicuramente a livello empatico, perché dal punto di vista fisico ci si mettono sempre buttafuori e transenne a separarli, anche se loro tentano di aggirare gli ostacoli lancinadosi dal palco e incitando i fan a fare lo stesso). Dovreste andarci ad un loro concerto, almeno una volta, almeno per buttarvi al centro della folla mentre suonano Il mare davanti o Come reagire al presente: un concentrato di malessere e speranza urlato al cielo da decine di persone, all’unisono.
Alla fine della serata, tornando a casa, mi è venuto da pensare a tutti questi giovani che hanno la fortuna di avere queste persone come punti di riferimento, gente che canta il loro dolore, che crea delle valvole di sfogo collettive, che li fa piangere e gioire insieme. Mi sono chiesta: e io che concerti mi andavo a vedere a vent’anni, nella mia Bologna? Dai miei pochi ricordi sommersi dal fumo mi è giunta una sola consapevolezza: troppe serate reggae.