di Gustavo Tagliaferri, ph Emanuela Vh. Bonetti
Buffi paradossi, felici conclusioni.
Se scappi un sorriso o un impeto di rabbia, ripensando al subbuglio in cui una settimana prima una città come Roma era ridotta, in tema di mezzi pubblici e conseguente movimento tra un quartiere e l’altro, non è del tutto chiaro, là dove la rassegnazione sembra essere sempre dietro l’angolo. Eppure, nonostante ciò, Roma sembrerebbe non essere ancora definitivamente domabile, per quel che riguarda, se non l’affluenza, almeno la curiosità e la necessità di entrare in contatto con realtà non solo di zona, ma legate alla penisola in generale. Contrariamente ad allora, per venerdì 27 è, anzi, deve essere in programma una serata speciale, qualcosa che faccia momentaneamente dimenticare cotante preoccupazioni. Vista la concorrenza altrettanto invitante scegliere non si è certamente rivelata un’impresa facile, tra La Distanza Della Luna in apertura a Cassandra Raffaele al Monk Club e i Farmer Sea a Le Mura, giusto per fare due nomi. Ma il dado era tratto sin dal principio: destinazione INIT, nel nome di vibrazioni, scariche elettriche, potenza, energia. Nel nome degli Stearica.
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L’uscita di Fertile aveva lasciato ulteriormente intuire come un simile trio meritasse più di quanto abbia già macinato con l’album precedente, nonostante una fama ormai consolidata più all’estero che in Italia, come dimostrato dallo svolgimento del relativo tour. A tal proposito sembrava scontata una doverosa trasferta in quel della Capitale, ed è piuttosto complicato pensare ad un luogo più consono dell’INIT. Ma i ragazzi non sono soli, visto che ad accompagnarli e ad aprire le danze è un chitarrista noto non solo per il suo percorso solista, ma anche per il suo operato pluriventennale con il Banco del Mutuo Soccorso, tale Filippo Marcheggiani, in arte Effemme, le cui lavorazioni per il secondo album in studio sembrano promettere più che bene.
Che gli orari non fossero mai stati, in particolar modo di venerdì e sabato, un gioco da ragazzi purtroppo staff ed organizzatori ne erano più che consapevoli, pur non avendone colpa alcuna. Ma fortunatamente, verso le 23:00, luci e fumo permettono a Marcheggiani di presentarsi sul palco, per giunta in ottima compagnia: Francesco Conte, già con i Klimt 1918, alla seconda chitarra, il fido Andrea Samonà al basso e Dario Esposito, anche lui giovane compagno “storico”, vista la sua militanza con il Balletto di Bronzo, alla batteria. In una quarantina di minuti si susseguono, con l’eccezione di apertura e chiusura, affidate reciprocamente ad Alla Stazione e ad una cover velocizzata di Up Patriots To Arms di Franco Battiato, l’una sempre ottima, l’altra mai rivelatasi funzionante quanto l’interpretazione dei Disciplinatha e, perché no, quella dei Subsonica, brani di un Oggi mi voglio bene le cui premesse non hanno deluso alcuna aspettativa, mostrando come il nostro, nel comporre del rock a proprio nome, non sia affatto da meno: Vi Faccio Parlare, Buonanotte, Solo Cenere, Insomnia, Eden, con una particolare menzione verso la seconda, atta non a calmare e a cullare, quanto ad infiammare un’ipotetica platea non straripante ma più che valida, e la terza, pregna di veemenza a tutto spiano, come si evince dalla chitarra di Conte, che sa come adempiere il ruolo che in precedenza fu di Daniele Raggi.
Chiusosi il primo atto ci vorrà una giusta mezz’ora per permettere ai più di riprendersi, prima di catapultarsi in una dimensione enigmatica, oscura, affascinante, il cui segno è rappresentato dalla venuta sul palco di Francesco Carlucci, Luca Paiardi, Davide Compagnoni. Questi sono gli Stearica, questo è il loro modo di celebrare Fertile, che già ascoltato in altre sedi fa sì che permanga quell’impatto devastante che lo ha reso apprezzabilissimo ai più, ma la sede live è tutta un’altra storia. Post-hardcore, noise, math-rock sono la base attraverso cui i brani della scaletta si muovono, senza risparmiare alcuna sorpresa, passando dai momenti maggiormente melodici (!), come l’iniziale Delta ed una Halite che, nei suoi stop’n go, cela di tutto e di più, ai synth che, in mano a Carlucci, si svelano per quello che sono, pulsanti come le proprie chitarre, là dove a risuonare è Geber, ma in particolar modo ad una devozione verso certo metal che, di brano in brano, si fa sempre più evidente, passando da Nur agli echi e alle strane presenze in qualche modo lontane dalla mera immaginazione al suono di Tigris, fino al raggiungimento dello zenith una volta che si presenta a Compagnoni la possibilità di mostrare una caparbietà che è anche ecletticità, poichè una volta arrivata Siqlum lo stesso fa del palco un’autentica carneficina, munito di bacchette, passando dalle pelli alle sue stesse luci, ridefinendo il concetto stesso di strumento musicale, quasi a sottolineare come il suono allora in corso non possa che entrare sotto pelle anche in quegli oggetti apparentemente inanimati. Dulcis in fundo, preceduta da un paio di saluti, non può esserci ciliegina sulla torta più gustosa di una Bolero On Botero che, ripescata da Oltre, prima riduce la sala ad un apparente anfratto silenzioso, poi la bombarda al suono di una sezione ritmica (per cui non è da meno l’unicità del basso di Paiardi) incattivita, infernale, rilucente di meraviglia, specialmente in un finale apparentemente cadenzato, poi prossimo al giudizio finale.
Fine. Buonanotte a tutti.
In precedenza si parlava di subbuglio, di stallo, di crisi, ma la verità è che l’unico subbuglio gradito è questo, quello che porta ad un ritorno a casa colmo di soddisfazioni, colmo di orgoglio, quello per un trio che rappresenta ottimamente l’Italia non tanto all’estero, quanto soprattutto nella propria stessa terra. Una simile conferma che dà anche lustro ad un INIT che in fatto di eventi di rilievo non viene, ancora una volta, meno. Nonostante gli orari di cui sopra.
Grazie, Stearica. E grazie, Effemme. Ci si rivedrà, prima o poi.
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