di Gianluca Clerici
Tracce inconsistenti. Visionarie assonanze con tutto ciò che sembra normale. Per il resto è pura sintesi elettronica e quel pop che fa struttura mediatica e forma canzone riconoscibile a priori. Non manca altro forse. O forse siamo completamente fuori pista. Di certo c’è che il nuovo disco dei BLASTEMA suona davvero molto bene, affascina e seduce, sexy quanto basta prima di sparire nel nulla. A Just Kids Magazine siamo curiosi da sapere il loro punto di vista sulle nostre solite domande…il punto di vista di chi è passato dal trono di Sanremo, di chi ha visto l’Italia in lungo e in largo, di chi come loro non insegue etichette e facili riferimenti per sentirsi omologati alla massa. Ci sono i Blastema oggi a Just Kids Society…
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo voi qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Credo che nel cercare di dare responso a questa contraddizione, possa esserci d’aiuto, ancora una volta, il valore sociologico della parola “lavoro”.
Con l’avvento del positivismo prima, e del marxismo poi, la parola “lavoro” assume una posizione significante attigua a concetti quali produttività e salario, che automaticamente la collocano all’interno di un contesto protoindustriale. Radicalmente diversa, per certi versa opposta, l’epopea della parola “mestiere”, che in senso nemmeno troppo relativo, viene contestualizzata e interpretata attraverso significati che richiamano il valore dell’esperienza, dell’impegno, dell’artigianalità, della capacità e della dedizione. Questo preambolo solo per dire che ciò che cerchiamo non è di far diventare la musica il nostro lavoro, bensì di poterla considerare il nostro mestiere. E’ ovvio che un buon mestierante è anche qualcuno che sa appagare i gusti del committente senza mortificare le proprie capacità, e consapevolmente accetta talvolta qualche restrizione per poter avere poi i mezzi e l’autorità di esprimere la propria creatività in opere più complesse e meno arrendevoli. Questa è una prassi che chi vuole fare questo mestiere conosce e deve accettare.
Crisi del disco e crisi culturale. A chi dareste la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Ma c’è una colpa? O un concorso di responsabilità che ha creato i presupposti di questa situazione? Lo diciamo spesso: crisi significa cambiamento e il cambiamento è ineluttabile e fisiologico, in ogni tempo, in ogni società. La cultura sta cambiando, lo si avverte ovunque, specialmente nel linguaggio. Talvolta, da conservatore bigotto, mi rammarico del fatto che la nostra capacità emotiva si stia fortemente limitando in quanto privata della corrispondenza linguistica. Non sappiamo più come descrivere le emozioni che proviamo e di conseguenza tendiamo a considerarle tutte alla stessa stregua; parole come livore, acme, sussiego, parossismo, solo per dirne alcune, sono solo fossili linguistici di un passato destinato a soccombere agli emoticon. Dobbiamo abituarci al fatto che la scrittura come la conosciamo è in fase terminale, mentre sta affermandosi ed evolvendo un nuovo linguaggio, più laconico, effimero, efficace, fatto di parole, di segni e neologismi sempre più spesso desunti dalla tradizione anglosassone. In questo non v’è niente di sbagliato, è il progresso, è naturale, è sempre stato così e non può farci paura, non deve; semmai dovrebbe incuriosirci.
La crisi del disco è assoggettata alle stesse dinamiche: non è che si fa meno musica, anzi, se ne fa di più, ma sta cambiando il modo di fruirne e di realizzarla e questo spaventa soprattutto quei colossi che vorrebbero ancora che la musica fosse appannaggio delle discografiche in mano alle major.
Secondo voi l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
La vera informazione non insegue né educa, informa e basta. Ciò significa dare ai cittadini gli strumenti per decifrare ciò che li circonda senza indirizzarli verso alcuna opinione prestabilita.
Ma questo è impossibile, da sempre. Allora nei paesi civilizzati l’informazione ha l’obbligo morale di manifestarsi attraverso un pluralismo di opinioni, opinioni che colte nella loro globalità possano dare un’idea esaustiva dei fatti. Se già poter realizzare questo progetto è difficile, in italia è risultato impossibile. Il solo fatto che la tv di stato sia stata per anni (e in un certo modo lo è ancora) tripartita per correnti politiche, consegna la cifra di quanto arretrato e esecrabile sia il nostro sistema comunicativo. Se a questo aggiungiamo l’avvento delle tv commerciali e l’influenza che esse hanno avuto sulla mentalità della popolazione italiana, arriviamo giusti giusti alle elezioni del ’94 in cui un imprenditore di Milano senza mai aver partecipato attivamente alla vita politica del nostro paese, in tre mesi vinse le elezioni.
La vostra musica, un rock tinto di pop e privo di schemi ed etichette se non le vostre. Musica che si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Di certo non possiamo dire che i Blastema, si arrendano o si adagino al mercato, anzi direi che da sempre i Blastema si preoccupino ben poco di quale che sia un supposto mercato discografico, sia esso in ambito main stream o indipendente. Piuttosto bisogna riconoscere una certa purezza e caparbietà a questo progetto, che è sempre stato molto difficile da classificare e circoscrivere in un certo ambito. Ci è sempre stato detto di essere troppo indipendenti per il mercato main stream e troppo main stream per il mercato indipendente. In questo spazio limbico i blastema hanno imparato a muoversi, a suonare e a proporsi. É stato un percorso lungo e complesso il cui solo riferimento è stata la nostra attitudine alla sopravvivenza e un certo modo assolutamente nostro di fare le cose. Ovvio che qualcuno nel corso del tempo può anche averci trovato fastidiosi , ma questo siamo e questo ci piace essere.
Voi che avete ormai una carriera lunga che ha trovato anche momenti di grande celebrazione. La vera difficoltà di questo mestiere, col senno di poi…qual è secondo voi?
Senza dubbio far quadrare i conti.
E se aveste modo di risolvere questo problema, pensiate che basti? Nel vostro caso specifico?
Beh, diciamo che darebbe una bella mano.
Finito il concerto dei BLASTEMA: secondo voi il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Una tra queste: dancing queen degli Abba, disco inferno dei Trammps, can’t take my eyes off you di Gloria Gaynor