di Clara Todaro
Un Gianluca De Rubertis nuovo quello de L’universo elegante, maturo e consapevole. Molti passi più avanti rispetto a Il Genio che, insieme ad Alessandra Contini, lo aveva portato alle luci della ribalta con il singolo campione di ascolti Pop porno. Con il suo stile sempre un po’ rétro e il suo intramontabile amore per l’universo femminile, esplorato e decantato con romantica carnalità. Spesso lo associano a De Andrè, ma dice di non conoscerlo, se non per ascolto passivo. Accenna alla difficile vita della musica in Italia tra cliché più o meno veri e cita Cézanne.
Dopo Autoritratti con oggetti, L’universo elegante è il tuo ultimo album. Da dove nasce e da cosa prende spunto?
Il titolo è arrivato durante la stesura, rappresenta il filo conduttore dell’intero album e ne dà una visuale generale. L’universo elegante spiega bene il periodo, abbastanza ristretto, in cui è stato concepito e poi è un richiamo all’omonimo libro di Brian Greene (uno dei più grandi fisici teorici, ndr.)
Dall’album emergono delle atmosfere sensuali, toni di luci e timbri di voce sempre focosi, che poi rispecchiano molto anche il tuo modo di essere e sono abbastanza in linea con il titolo dell’album. Ma qual è esattamente il tuo concetto di eleganza?
Di certo non è un bell’abito o un collant raffinato. È un concetto molto più labile che ha a che fare con la riservatezza: a me sembra che oggi si tenda molto a urlare il dolore. Anche per mezzo dell’illusione che creano i social, che danno a tutti l’idea di essere importanti e indispensabili al pianeta. In realtà nessuno di noi è essenziale al pianeta e tutti, indistintamente, siamo destinati a finire in una tomba. Quando ci si sente troppo importanti si rischia di strillare, di lamentarsi quando sembra ci sia stato tolto qualcosa. Ecco per me l’eleganza è la capacità di non disturbare troppo la vita che ci circonda, è il silenzio che si riesce a osservare in un momento di difficoltà o di privazione.
A proposito di eleganza, forse non come la intendi tu, ma come la si intende più comunemente, mi viene in mente una collaborazione che hai incluso nell’album, oltre a quella con Giovanardi, che è quella con Amanda Lear. Ci racconti come è stato lavorare con lei?
In realtà è stato inaspettatamente molto naturale. È stata un’idea che mi è balenata lavorando al disco. Abbiamo inviato dei brani al suo manager, a lei sono piaciuti e il pezzo Mai più poi ho deciso di inserirlo. Devo dire che ho conosciuto una persona complessa – che di esperienze ne ha vissute tante – ma anche molto semplice, poi intelligente, simpatica e generosa. Ci siamo trovati subito bene insieme.
In realtà questo non è il primo duetto con una donna, dato che per anni sei stato Il genio con Alessandra Contini. Dopo il tormentone di Pop porno però sei passato a una dimensione più sommessa, a un cantautorato che ricorda più De Andrè o certi chansonnier francesi. Come è stato questo passaggio?
Beh intanto Il genio non è del tutto finito, con Alessandra Contini siamo sempre in contatto quindi in futuro magari torneremo di nuovo a fare qualcosa insieme. Anche perché il nostro lavoro funziona ed anche molto giocoso. Tuttavia l’esperienza musicale è fatta anche, e soprattutto, di cambiamenti e di una spontaneità di scrittura che ti porta a fare cose sempre nuove.
Certo si tratta di una continua ricerca che si muove su piani diversi e magari lascia aperti tanti progetti. Ad esempio una delle tue ultime imprese è stata cimentarti in un mediometraggio che ha anticipato l’uscita dell’album: Dal tramonto all’album che tu hai scritto, diretto e interpretato. Ti piacerebbe provare ad accostarti al cinema forse?
Sì, mi sono imbarcato in questa impresa per la prima volta. Avevo un racconto, scritto un po’ di tempo fa, e mi sembrava che la storia si appoggiasse bene sui brani. Dovesse capitare di nuovo, sì, mi piacerebbe farlo ancora. Quando vedi che qualcosa alla fine ti viene bene, poi ci prendi la mano e ti piacerebbe farlo di nuovo. Anche se anche lì c’è un mercato completamente saturo e non è facile farsi sentire in Italia. Forse per certi versi in Francia è più facile farsi notare. Lì abbiamo mandato dei brani, ad esempio, e abbiamo avuto subito una risposta positiva mentre invece qui se mandi gli stessi pezzi a delle case discografiche anche piccole, neppure ti rispondono e alla fine pubblicano della musica inascoltabile.
Forse è un problema tutto italiano di gusti e, chiaramente, di domanda-offerta.
Beh sì sicuramente, però la fatica si è fatta anche con Il genio eppure – oltre a Pop porno – il primo e il secondo album andarono bene. C’è una nicchia di ascoltatori e affezionati che ci seguono, ma sembra sempre di scontrarsi contro dei muri invalicabili. Non dico che la mia musica sia indiscutibilmente da ascoltare, ma non credo neppure che sia da buttare, visti anche gli anni di studio e di esperienze alle spalle. D’altra parte però non mi sono mai arreso; ci sono pagine e pagine di recensioni positive e alcuni lavori sono stati rivalutati anche un po’ di tempo dopo.
La situazione non è del tutto rosea, ma ci sono delle realtà positive. Ad esempio il tuo album è stato realizzato con il sostegno di Puglia Sounds Record. Questo vuol dire che la Puglia ha posto attenzione e ha investito sul tuo lavoro.
Sì, nonostante tutto, ci sono ancora dei progetti che credono nella buona musica e la finanziano e la sostengono. Purtroppo però a volte questo si riduce a un nulla di fatto. E non parlo solo di me, ma anche di tanti colleghi che hanno realizzato lavori eccellenti eppure restano totalmente ignorati. Sai non che io voglia raggiungere la fama o la gloria, né si tratta di fare carriera, ma semplicemente di poter vivere del proprio lavoro, dell’attività per la quale mi impegno 24 ore su 24.
Per chiudere vorrei che tu facessi una previsione sul futuro della musica italiana. Soprattutto a fronte di quello che sembra tanto un ritorno al passato – al quale neppure tu sembri sottrarti – non sarà che tutta questa nostalgia di epoche mai vissute indichi una certa pochezza della musica attuale?
Intanto anche a me non è che piacciano tanto certi contesti in cui io stesso a volte mi muovo. Un campanello d’allarme suona anche a me. Per quanto riguarda l’ultimo album, posso dire che è nato tutto da me senza riferimenti ad altro. Poi, ovvio, ciascuno può leggerci rimandi vari o ricordi che affiorano in modo inconsapevole. Però questa tendenza al passato c’è, è vero, e forse è più che altro una questione di moda.
Perché proprio adesso è tornata questa moda? Da cosa dipende secondo te?
Beh, è più che altro un ritorno al suono di quegli anni, ma trovo sia anche un fenomeno abbastanza fisiologico. Ad esempio, riascoltando le strutture delle canzoni degli anni ’80 di George Harrison si sente che sono tutte rifatte sui suoni degli anni ’60. Anche se magari si usavano macchinari di ultima generazione e nuovi campionatori. Quindi non è una novità, e ancora oggi certa musica italiana si rifà a quella degli anni ’70. Poi ci sono degli eventi che influiscono, come quando viene a mancare qualcuno del patrimonio culturale nazionale: muore De Andrè e vengono fuori tutti i deandrè d’Italia, muore Lucio Dalla e vengono fuori tutti i luciodalla d’Italia. Per carità i cliché e l’ascolto passivo influiscono tanto, e in modo inconscio, in quello che facciamo, ma è proprio per quello che davanti a una tela bianca più che dipingere, bisognerebbe operare di sottrazione e spogliarla del superfluo. Perché in realtà su quella tela bianca c’è già tutto.