Finalmente erano andati tutti a letto. Remì, un po’ tremante, prese dal cassetto il suo astuccio blu e , fissandolo come un ossesso, l’aprì lentamente, seguendo un rituale che ormai compiva da tre lunghi anni. Sistemò sul letto, uno di fianco all’altro tutti gli oggetti che l’astuccio conteneva: un cucchiaio d’argento ( rubato in casa di sua nonna ), una siringa usata ( ma non troppo ), un accendino nero e un pallino di eroina. Caricò la siringa d’acqua ( tirandola dalla bottiglia blu che usava per dormire ), svuotò la roba nel cucchiaio e diede fuoco alla base dell’argenteria. Dopo pochissimi secondi vi lanciò dentro un filtrino, lo centrò con l’ago e tirò lo squaglio nella pompa. Quel leggero tremore che aveva, cominciò ad attenuarsi ancor prima di bucarsi ( ah! Potenza della Suggestione ), e quando il corpo fu in posizione centrò la sua vena preferita accusando di colpo la botta.
Nonostante tutto, nonostante gli ultimi anni passati a sbattersi e drogarsi, Remì aveva ancora un aspetto decente. Niente denti marci, niente occhiaie ( o solo quando dormiva poco ), e colorito olivastro. Aveva ventisei anni, e da cinque viveva a Roma con due coinquilini un po’ matti. Una coppia di artisti calabresi che passava il tempo a dipingere e a fumare maria. Uscivano di casa solo per comprare da mangiare e chiaramente per comprare da fumare. Lavoravano spesso a due mani e le loro opere erano piene di dettagli elettronici e particolari da scoprire. Remì invece amava la musica. Suonava la batteria in un duo postrock, e ogni volta che stava un po’ dimmerda chiamava Punky, chitarrista e amico, per buttarsi in sala prove e dare sfogo alla sua rabbia e alle sue emozioni. Con Punky si conoscevano da molti anni ormai; l’amico portava i capelli corti e gli orecchini ai lobi, aveva gli occhi scuri come la notte e le braccia tatuate. Anche Remì aveva il corpo tatuato e i capelli corti, ma i suoi occhi erano verdi come l’erba, con un piercing al sopracciglio destro.
Dopo essersi fatto Remì chiamò Punky al telefono. Aveva voglia di suonare, aveva scritto una melodia alla chitarra e non vedeva l’ora di farla ascoltare al suo amico.
“ ohh punky che fai? “
“ oh bella Rè, stavo ascoltando il concerto di Johnny Marr, c’ha sempre avuto un suono da paura! “
Remì si accese una sigaretta e gli chiese se voleva suonare. Si dettero appuntamento per le quattro del pomeriggio e poi ognuno tornò alle sue cose. Punky riprese a fissarsi sulle canzoni di Marr e Remì mise su una vecchia intervista di William Burroughs, da sempre il suo scrittore preferito, restando imbambolato davanti al pc per più di due ore. E’ vero che ogni tanto chiudeva gli occhi, fatto com’era, ma il resto del tempo seguiva con attenzione le parole del maestro che tanti versi per le sue canzoni gli aveva ispirato.
Il Pasto nudo era stato uno di quei libri che gli aveva cambiato la vita, e soprattutto aveva cambiato l’approccio che aveva nei confronti della poesia e della letteratura. Anche a Punky gli piaceva da impazzire, però di quel periodo preferiva leggere più Kerouac che Burroughs; “ troppo contorto “ diceva sempre Punky, e attaccava a strimpellare sulla sua Tele cercando di imitare la scrittura di Burroughs sulla sua chitarra; “ ecco, se mai Burroughs avesse preso una chitarra tra le mani, la sua musica sarebbe stata questa………………….” e passava da un accordo a un assolo a un riff per poi tornare al giro armonico appena accennato nel giro di poche battute; “ folliaaaaaaaaaaaaaaa Burroughs!!! “
Alle quattro il sole era già svanito e in giro c’erano solo automobili parcheggiate in doppiafila. Prima di tuffarsi in sala prova presero un caffè corretto al bar; poi iniziarono a strimpellare la canzone scritta da Remì, e in pochi minuti sentirono quelle che Punky definiva: ottime vibrazioni. Il pezzo funzionava, e passarano le due ore seguenti a lavorarci su. Remì aveva anche scritto qualche verso che subito provò a melodizzare. Ogni tanto si fermavano per riempire i bicchieri con dell’Amaro che avevano comprato al Supermercato qualche giorno prima, rollavano entrambi delle sigarette di tabacco e poi riprendevano a picchiare i loro strumenti con trasporto e animosità.
“ Stasera che fai? “ chiese Punky a Remì una volta finito di suonare.
“ Non so, vorrei scendere al Freak…c’è una band punk irlandese che dicono sia cazzuta. “
“ Ok, ci sto “ riprese Punky gettandosi sul divanetto e rollando un’altra sigaretta di tabacco Lucky Strike.
“ Prima però devo passare per casa “ continuò Remì che non poteva scendere al Freak senza essersi prima sparato la sua dose. La notte poteva essere lunga, e non aveva voglia di star male, e tremare come un malato.
“ Ok “ frignò Punky, “ ma qualcosa per me ce l’hai? “
“ Andiamo a casa e vediamo “ disse Remì che già stava pensando a racimolare i soldi per il giorno seguente.
Una volta a casa Remì e Punky passarono tutta la notte a farsi di roba e guardare la tv. Non erano più andati al Freak, ma in compenso avevano scritto un’altra canzone lasciandosi trasportare dalla goliardia e dalla fattanza. Non c’era niente di meglio che passare le ore a suonare, invece di perdere tempo a cazzeggiare per la città cercando di socializzare con persone che non vedono l’ora di mandarti a fanculo. Alle cinque di mattina Punky tornò a casa. L’alba era spettacolare, di un colore rossofuoco che sapeva di sangue e vita. Pensò che avrebbe dovuto scriverci una canzone, e questo lo fece sentire meglio del solito. Appena fu nel suo appartamento prese la chitarra e iniziò a strimpellare. Non voleva fare altro nella vita, e scrisse così una delle canzoni più intense che avesse mai scritto. Poi chiuse gli occhi e si svegliò la mattina seguente con in testa la melodia che aveva composto la notte. Chiamò Remì, poi un suo amico spacciatore. Un’altra giornata iniziava. Avevano un’altra canzone da suonare!