Dietro il fantasioso nome di PRUS Dall’Oltrefiaba si cela il giovane Daniele Peracchia, musicista e compositore piemontese. In uscita prossimamente a marzo con il suo esordio discografico dal titolo “Vostok”, in questa intervista PRUS racconta la genesi di questo lavoro che amabilmente rifugge qualsivoglia accostamento musicale. Un album che va da un pop sperimentale ad un tipo di elettronica concepita in maniera assolutamente sui generis, che si avvale di atmosfere oniriche, orrorifiche, cinematografiche.
Di Francesca Amodio
(foto di copertina di Serena De Angelis)
Il tuo disco, “Vostok” (Scene Music Records/Goodfellas), è stato prodotto da Paolo Fattorini. Che tipo di influenza ha avuto nel tuo caso?
Direi molto positiva. Io e Paolo ci siamo incontrati in un momento in cui entrambi avevamo una forte voglia di sperimentare, ad esempio anche con l’oggettistica, come si evince dal disco, e quindi fondamentalmente siamo andati d’accordo su tutto. Ci siamo compensati in maniera molto naturale e spontanea, finendo gli arrangiamenti in pochissimo tempo ed in maniera improbabile, utilizzando i tubi del condizionatore per ottenere alcuni effetti che volevamo, tanto per dirne una. La cosa importante alla fine è saper produrre sonorità interessanti, e penso che io e Paolo ci siamo riusciti in qualche modo.
Il disco sembra prestarsi moltissimo all’uso di colonne sonore. Scelta spontanea o ragionata?
Assolutamente spontanea, ma credo che questo dipenda dal mio essere fortemente cinefilo, ancor prima che musicista. Mi rendo conto che “Vostok” è un disco molto visivo, che fa pensare a delle immagini precise quando lo si ascolta. Devo dire che è una cosa che mi piace, mi piace il fatto che le persone ascoltando il disco riescano a vedere cose che non albergano né in questo tempo né in questo spazio ma che allo stesso tempo non sono poi così distanti dalla realtà. In questo senso mi sento un po’ vicino a Tim Burton, coi suoi personaggi bizzarri e fantastici che però abitano spesso in un contesto reale.
Non è il tuo caso, ma che ne pensi della musica come impegno sociale?
Penso che al giorno d’oggi non tutti siano sinceri nel farlo. C’è chi lo fa per necessità, ovvero sente davvero il bisogno di lanciare determinati messaggi attraverso i propri testi e la propria musica, e c’è chi lo fa per moda e per fama, col risultato che spesso risulta anche difficile riuscire a distinguere gli artisti di questa nuova ondata giovanile di oggi. Non è il mio caso perché quando faccio musica lo faccio proprio per “uscire” dal mondo che mi circonda, probabilmente se mi mettessi a scrivere dei temi politici e sociali che mi stanno a cuore risulterei poco credibile e pesante.
Il disco si chiama come un noto lago ghiacciato del Polo Sud. Come mai?
Vostok è un lago molto studiato per le singolari emissioni di segnali presenti al suo interno, ed ho voluto utilizzare proprio questo fatto come metafora di ciò che le otto tracce del disco vogliono esprimere, e cioè la ricerca personale interiore. Volevo mettere in musica questo scavare nel nostro ghiaccio interiore per far uscire quello che consciamente non vogliamo e lo faccio attraverso brani come “Cosmic Quiet”, “Over Vertebrae”, ma in generale l’intero disco parla di ricerca.
Un artista che ammiri per la scrittura testuale?
Francesco Bianconi dei Baustelle. Penso che sia uno dei pochi attualmente in Italia che possiede una capacità di scrittura fortemente caratterizzante e personale, fuori dalla norma. Molti suoi pezzi dicono tanto e altri niente, ma anche in quel niente c’è un’infinita bellezza.
Scrivi per il pubblico o per te?
Assolutamente per me. È una mia esigenza precisa, quello del destinatario non è un problema che mi pongo quando realizzo un prodotto artistico come è in questo caso un disco. Mi rendo conto che magari ci può essere qualche frase che potrebbe risultare un po’ ermetica, o addirittura incomprensibile, a chi la legge, ma in fondo è anche questo il bello, che ognuno possa darne la propria interpretazione. Quello che vale per la mia scrittura testuale vale anche per quella musicale. Per fare un esempio, io e Paolo Fattorini abbiamo deciso di fare gli arrangiamenti con i fischi piuttosto che con gli archi, come da tradizione, ne “Il corpo elettrico”, uno dei due pezzi in italiano dell’album: il risultato può essere tanto straniante quanto profondamente divertente e singolare.
Tra poco partirà il tuo tour, dove ti vedi principalmente a suonare?
Vista la particolarità del progetto mi piacerebbe suonare in spazi grandi ma mi piacerebbe provare anche l’esperienza di una chiesa sconsacrata o di un teatro. Fondamentalmente mi piacerebbe presentare “Vostok” in tutti gli spazi in cui l’ascoltatore può mettersi seduto tranquillo su una sedia e lasciarsi trasportare da questo viaggio.
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