di Gustavo Tagliaferri | ph Francesca Fratangeli
Ora più che mai, pochi ma buoni…
Che il venerdì fosse un giorno particolarmente cruciale, in termini di eventi musicali, non era una novità. Come non è mai stata una novità il fatto che la prima città a balenare nella mente a proposito di serate che si accavallano, equamente meritevoli ma non sempre favorite da una crescente affluenza di pubblico, sia Roma. Non si parli poi del fatto che l’imbarazzo della scelta fosse scontato: per fare solo due nomi, Giorgio Canali e Rossofuoco, aperti da Kruscev e Mary In June, al Monk, Moderat allo Spazio 900, con tanto di sold out. A rimanere non poteva che essere, nel mezzo, una serata forse atipica, certamente necessaria dopo un’assenza protrattasi per qualche anno, specialmente quando si è sul punto di promuovere una fatica recente e fresca di vittoria al Premio Tenco: questo è “Il Mio Stile”, questo è Mauro Ermanno Giovanardi, questo, a fare da cornice, è un Quirinetta che da un anno sta attraversando una lenta evoluzione, portando nel centro di Roma degli eventi assolutamente di rilievo, musicali, cinematografici, ma anche connessi a performances corporali e non, come dimostrato dal ritorno di PièceOFF.
I propositi per dare luogo ad una serata speciale ci sono tutti, viene da pensare. Ma, in merito al fatto che i fattori di amicizia, di stima reciproca, di collaborazioni possono avere una certa valenza anche al di fuori di esperienze della durata di un paio di brani, in che cosa può consistere la ciliegina sulla torta, facente da ideale apertura delle danze? In una sorpresa vera e propria neanche tanto oscura ai più, la presenza dell’attrice e cantante Violante Placido, in arte Viola, accompagnata dal chitarrista Alessandro Gabini. Un personaggio di cui si è detto di tutto, persino le cose maggiormente improbabili, ma che ha avuto la giusta occasione per non perdersi d’animo, a dieci minuti delle 23.00, finendo per mostrare nel giro di quattro brani tutte le sue capacità, passando da un’indole rock, quella di We Will Save The Show, meno delineata nella maggiormente interessante Precipitazioni, ad un suono folk non esente da derive intime e, a loro modo, distorte e favorite da una maggiore cupezza nelle luci, nel passaggio da Funny Faces a Dreams, ed anche se non si è avuto a che fare con una manifestazione del genio l’impressione rimasta è quella di un repertorio molto buono, un positivo fascio di luce riflesso sull’artista. Un ideale La che lascia intuire come non ci voglia tanto, visto il breve cambio palco, prima di ritrovarsi quasi faccia a faccia con il protagonista della serata.
Meno cupezza, più solarità. Non c’è una band completa, né tantomeno un’ensemble simile al Sinfonico Honolulu, suoi compagni di viaggio per un’esperienza di tre anni fa, culminata anche in un’ospitata al Ketumbar di Testaccio, per un evento speciale legato al “Wild Brunch” di Rocksteria, ed in particolar modo, come denotato con Viola, non c’è alcuna sezione ritmica: c’è solo lui, Joe, capello rosso ed occasionale armonica facente da contorno, accompagnato alla sua destra da Marco “Cosma Vignera” Carusino (già con Morgan e Rachele Bastreghi) alla chitarra ed alla sua sinistra da Vincenzo Di Silvestro al violino. Ma anche in una veste ridotta all’osso le soddisfazioni non risultano delle mere utopie: il tempo, per il nostro, si è fermato, lasciando ai più un personaggio che, anche senza i La Crus, non si è mai perso d’animo e ha mantenuto quello charme, quella voce suadente che lo caratterizza dai tempi dei Carnival Of Fools. Il canto di Mauro Ermanno Giovanardi, nel corso di un’ora e passa, segue una linea che va dall’amore al dolore, secondo una trama ben tessuta dai due colleghi passa dall’andamento struggente di Su una lama ad un racconto di passione trattato con meticolosità, quell’Io confesso con cui si era fatto sentire nel corso di un passato Sanremo, cede alle lusinghe di uno spirito westerniano, forse tex-mex, certamente in un paio di casi mosso da accenni country, quello che va dall’ipnotica Il diavolo alla confessione di Più notte di così passando per una pacata Aspetta un attimo, danza a mò di stomp’n go su un concentrato di soul, più che di gospel, quale Se c’è un Dio e non si lascia affatto alle spalle certe esperienze passate, come dimostrato dalla presenza di Nera signora e Come ogni volta, spogliate da ritmi elettronici eppure scandite da silenziosi, intimi ticchettii, inesistenti eppure presenti. Ma c’è spazio, oltre che per qualche poesia recitata, anche per omaggi ad interpreti e voci molto care all’artista, da una Ho visto Nina volare ripresa più volte (da Marco Parente a Zucchero) e qui forse ancora più toccante ad un Leo Ferrè onnipresente, di cui il recitato di Il tuo stile non è solo un richiamo all’ultima fatica, ma uno stile di vita con una certa valenza, fino alla decisa spinta data, in conclusione, alla Storia d’amore di Adriano Celentano.
L’apparente chiusura delle danze è scontata di fronte a ciò, ma è solo un’illusione. Joe ha ancora qualcosa da dare ai più, a quel centinaio di presenti inaspettato, ma ferreo più che mai. E’ così che arriva ai più Un garofano nero, priva dell’energia da studio ma non meno sincera, prima di un improvviso cambio di microfono che va da Rosa, unico momento in cui a cantare è Marco Carusino, distanziato dal fare ipnotico del collega ma comunque non meno coinvolgente, al clou vero e proprio della performance: a salire nuovamente sul palco è proprio chi aveva acceso gli animi dei più inizialmente, quella Viola che, accompagnata al nostro, si concede in quel rifacimento di Bang Bang venuto in auge cinque anni prima, dove alla tragicità del tema si accompagna una frenesia leggibile nell’accoppiata chitarra-violino. Ma la fine non è ancora così vicina, deve ancora arrivare sotto forma di recupero dei Velvet Underground e della loro Femme Fatale, e l’ipotesi di un Joe nei panni di Lou Reed ed una Viola come Nico non risulta così inimmaginabile, anzi, giunge al divenire e porta ad altrettante soddisfazioni. Duetti che fungono da consonissima ciliegina su una torta molto gustosa
Fine. Buonanotte a tutti. Lento allontamento, lento smantellamento.
Visto quello che sono stati i La Crus nel corso della loro attività lascia un po’ amareggiata la presenza di molta meno gente rispetto alla fama di allora, scissione o meno, oltre che indipendentemente dalla concorrenza di cui sopra. Eppure va detto: questa è una di quelle serate in cui la poca presenza è stata comunque tale da permettere ad un raro spettacolo del genere di risultare ineccepibile. Per giunta senza neanche troppi ritardi, per quanto a volte si sfori un po’ troppo. Non è solo “Il Mio Stile”, ma è lo stile di tanti, condiviso con tutti in maniera equa.
Grazie, Joe. Che lo “Stile” possa farsi strada in questi periodi particolarmente impegnativi