Intervista di Francesca Vantaggiato
Photo di Maria Elisa Milo
Dopo averli visti al Pending Lips Festival 2016, ho deciso che dovevo proprio scambiarci due chiacchiere. Ed è così che ci siamo ritrovati io, Maria Elisa e i tre Baudelaire’s Conspiracy un sabato mattina (molto presto) in Piazza dei Mercanti, in pieno centro di Milano. Gli avevo chiesto di incontrarci in un luogo che per loro significasse qualcosa e mi hanno risposto così: “Abbiamo scelto la zona Duomo perché essendo tutti ex-studenti di milano, e avendo creato il progetto proprio in quel periodo, ci sembrava buona cosa prendere un luogo che rappresentasse in qualche modo lo svago e il distacco dallo stress, che sostanzialmente è quello che cerchiamo anche noi nella musica. Quella piazza è dove tutti i ragazzi vanno a fare un giro per fare pausa, mangiare al Mac o fare due passi in via Torino. È una specie di ancora di salvezza e rappresenta perfettamente ciò che vogliamo esprimere“.
Fatto sta che alle 10:00 di mattina eravamo lì, bocca impastata e occhi semichiusi, pronti a scambiarci due battute: io, Maria Elisa, Mattia, Davide e Giacomo (più una cinquantina di manifestanti per il NO al referendum sulla costituzione e altrettanti venditori ambulanti del mercato).
Mi date una definizione di zarro?
Davide (D): Persona che ha voglia di battere il piedino durante una serata anche se si trova allo ZOE Club (ndr: locale metal milanese, ormai chiuso)
Ma cosa significa essere zarro: un’attitudine, un modo di vivere, di vestire?
Mattia (M): È l’idea di tirare fuori tutto di te, anche i lati peggiori, con coraggio. Noi stimiamo gli zarri, perché non è facile vivere da zarro. Abbiamo preso spunto da loro per produrre musica secondo i nostri canoni, come piace a noi. L’unica cosa che eravamo in grado di fare era suonare degli strumenti e lo abbiamo fatto cercando di tirare fuori il lato zarro nell’indirockketaro medio.
Ma qual è il lato zarro della vostra musica? Come lo spiegate?
D: Il fatto che le persone si mettano a ballare senza pudore. Hanno voglia di ballare e ballano. Gli zarri, quando li becchi in serata, sono entusiasti, hanno voglia di ballare e ballano. Mentre ai concerti questa cosa del ballare senza pudore manca tantissimo.
Vabbé, ma è un fatto molto milanese quello di non ballare ai concerti…
Giacomo (G): Ed è una cosa che va cambiata! Quindi cassa in 4/4, tastierone alla Gigi Dag e chitarrina indie-rock
M: Possiamo lavorarci ma è troppo dura: Gigi Dag è un mito a cui non arriveremo mai!
Quindi voi vi dissociate dal mondo indie rock facendo polemica: siccome sono zarro, sono meglio dell’indie e faccio altra musica
D: Senza fare polemica, a me piace l’indie rock, ma la verità è che se mi mettono su Barbie Girl, la ballo lo stesso. Non devo star lì a dimostrare che sono indierokkettaro, indipendente, che ho la maglietta artigianale, che ascolto solo alcune cose… Puoi ascoltare entrambe le robe e passare una bella serata.
Occhio che così vi inimicate il mondo degli hipster…
G: Tanto sono passati di moda… come i metallari
C’è qualcosa che comunque non mi quadra: voi dite di essere zarri, però poi mi fate le citazioni di Baudelaire…
M: Beh, lo zarro intellettuale tira! È solo per quello che lo facciamo
D: Anche Kate Moss leggeva Dostoevskij prima delle sfilate… anche se al contrario! Baudelaire è legato al nostro logo: ho un libricino a casa che si intitola La storia della cravatta. La cravatta era un segno militare degli alti comandi; al tempo era un foulard molto lungo che si attorcigliava intorno al collo. Baudelaire invece la metteva in una maniera completamente dissociata dal gusto contemporaneo. Non gliene fregava niente di cosa ne pensava la gente. Abbiamo ripreso questa sua attitudine nel fare quello che si vuole semplicemente perché piace! E anche nella musica riprendiamo un po’ quest’attitudine, mettendo insieme cose che magari contrastano tra loro: drum’n’bass, arpe, musica classica, congas più una sferzata alla Mars Volta. Può sembrare che non sappiamo quello che stiamo facendo, in realtà facciamo quello che ci piace.
A dire la verità, ascoltando il vostro primo EP (Volevamo Suonare Indie Rock, Ma Siamo Zarri Dentro), non si sente dissonanza o confusione, mi sembra roba molto dritta. Direi che comunque, a questo punto, dovete recitarmi una poesia di Baudelaire
D: L’albatros! Che faceva: “L’albatro…” e insomma parlava di un albatros
Somnet d’autumn, il vostro pezzo intitolato proprio come una poesia di Baudelaire, è una canzone molto allegra, mentre il sonetto del poeta francese è davvero triste, parla di una storia d’amore che finisce e di lei che – pallida – lo lascia.
D: Se prendi l’intro della canzone è tirato e pesante. Poi, con l’andare avanti, la canzone diventa allegra con i fiati molto naif. C’è il ritornello che esplode, ed è l’esplosione di energia che provi quando, da un momento di negatività, passi oltre e ti rendi conto che l’hai superato.
M: Per quanto la poesia sia triste, al suo interno c’è uno sfogo e l’idea di stare meglio dopo questo sfogo. La canzone è strutturata in questo senso, ha un inizio cupo che man mano si rischiara, rappresentando l’idea che la poesia – come la musica – essendo uno sfogo, ti fa stare meglio.
L’EP si apre con Catch the Train, un brano dal ritmo trainante e potente. Qual è la sua storia?
M: Catch the Train è stato il primo remix che abbiamo fatto, ispirandoci ad un gruppo blues-garage che amiamo molto, i There will be blood, che per noi sono sempre stati fonte d’ispirazione musicale ed extra-musicale.
D: L’originale è suonata con il diddley bow, uno strumento africano composto da un’unica corda, costruito anche da Jack White nel documentario It might get loud, con Jimmy Page. Abbiamo detto: “proviamo a trasformare un pezzo così strumentale in una roba zarra, senza però schiacciare l’attitudine rock della band”. Loro ci hanno detto che è addirittura meglio dell’originale!
Quali sono gli altri remix che vorreste fare?
Stiamo lavorando con Il Triangolo e vorremmo fare altri remix di musica live, tenendo sempre il concetto di non snaturare il pezzo, ma arricchirlo
Ci pensate che un giorno qualcuno potrà fare un remix dei Baudelaire’s Conspiracy? Da chi vorreste essere remixati?
Insieme: Bonobo
M: Anche Bloody Beetroots
Altro pezzo dell’EP che ho trovato molto divertente è Alpines don’t need a vocalist. Mi sono immaginata questo gruppo di alpini ubriachi con boccali birra e grappa in mano, a far festa dentro una baita. Dovreste farci un video. Come mai proprio gli Alpini?
M: Sarebbe figo un video così, ma ci costerebbe troppo in alcool!
G: L’idea è sempre quella ci decontestualizzare, prendere qualcosa da un contesto e senza snaturarlo, metterlo in un altro. Volevamo decontestualizzare gli alpini!
I cori che si sentono nel brano, siete voi a farli? Rifatemi al volo a cappella:
L’ultimo pezzo dell’EP, The Rapsody, è un po’ diverso, decisamente più house…
G: Si tratta del primo pezzo che abbiamo registrato, forse la cosa più confusa che abbiamo fatto!
D: Erano le prime volte che stavamo usando Ableton (nel 2012/13) e avevamo campionato un pezzo dei Gogol Bordello. Però ci mancava la batteria e ho campionato un pezzo di batteria di un remix fatto a Skrillex… e ho visto che funzionava!
M: E da lì ha capito che con il copia e incolla puoi fare tutto. Anni di studio dello strumento buttati nel cesso.
D: Da lì ci è sfuggita la mano, lavoravamo con 80 canali, il nostro fonico ci ha detto che non potevamo lavorare così, per cui ci siamo dati una regolata. La cosa interessante è stata poi riportare l’EP nei live
M: Quella è stata la cosa più complicata che abbiamo fatto. Inizialmente abbiamo composto i pezzi, ma per riadattare il tutto a livello di live entri in dinamiche che sono completamente differenti da un concerto normale. All’inizio è stato sconfortante, perché mettere insieme strumenti ed elettronica è davvero complicato.
D: All’inizio non avevamo neanche il nostro fonico, quindi quando suonavamo nei locali poteva succedere che il fonico del posto non sapesse come gestire i nostri strumenti. È anche successo di suonare con le basi mute, quindi noi a suonare di brutto, ma poi mancavano flauti, trombe, arpe… mancavano tutte le collaborazioni che a noi piacciono tanto!
Come scegliete i musicisti che collaborano con voi?
D: Sono musicisti che conosciamo e che stimiamo come professionisti e persone. Dopo le registrazioni con loro, di solito chiacchieriamo, poi birretta, poi vino, poi panino, poi arriva sera e siamo ancora insieme
M: … e poi altra birretta e non si registra più, vabbé ci vediamo domani, mi raccomando niente birrette…
D: Al di là degli scherzi, tutto questo è importante, perché quando c’è alchimia e un buon clima, tutto viene meglio e da semplici improvvisazioni sul momento. Per i live, quando riusciamo ad avere i nostri collaboratori sul palco è meglio, altrimenti li mettiamo in base. Ma se poi le basi ce le mettono in muto, è un casino.
Per i live, che tipo di locale preferite? Qual è il vostro live ideale?
M: In inverno, il club milanese è perfetto. In estate, i festival sono molto rappresentativi di quello che facciamo. E facendo musica elettronica, di solito ai festival ci mettono verso le 22.30 / 23.00
A quale vi piacerebbe partecipare?
Tutti: Lo Sziget!
Restando sulla questione live, il vostro posizionamento sul palco lo avete deciso appositamente oppure vi disponete a caso?
M: Non volevamo ci fosse un frontman, una figura dominante nella band. Per quello ci siamo disposti a triangolo. Io e Davide ci alterniamo, non siamo sempre disposti nello stesso modo.
Il batterista sta sempre dietro però! Ma come e quando avete cominciato a suonare insieme? Siete sempre stati voi tre, fin dall’inizio?
D: Ero a Berlino, io non lo conoscevo (Mattia), lui suonava il banjo in mezzo alla strada e io mi sono messo a sfotterlo, finché lui mi guarda e fa ”Guarda che sono italiano e ti capisco, coglione!”
Ma davvero???
D: No!
(ndr: si, ci ho creduto davvero. L’unica cogliona a quanto pare sono io!)
D: Io e Mattia abbiamo iniziato a fare dj set, ma poi ci siamo letteralmente rotti le palle. Quando metti i dischi non hai la stessa energia di quando suoni live. Però l’attitudine del dj set ci piaceva, è molto liberatorio e tu hai qualsiasi possibilità per far ballare la gente.
M: È stato divertentissimo per i primi due anni, perché non c’erano così tanti dj set come ce ne sono adesso. Però, ad un certo punto, mancava qualcosa, quel qualcosa che ti fa svegliare la mattina con uno scopo bello, che è creare della musica. Ci mancava il lato creativo: è bello saltare, ridere, fare play, vedere la gente che balla, ubriacarsi (perché è vero, non puoi salire troppo ubriaco sul palco se sei un musicista, ma puoi salire sul palco tanto ubriaco facendo il dj perché devi fare solo play). Abbiamo pensato quindi di riprendere in mano gli strumenti per fare qualcosa che ci desse soddisfazione, Davide ha ripreso il basso e io le tastiere, però ci mancava il batterista. A questo punto spunta fuori Jack (Giacomo) a dire: “Ehi Davide, sono io, tuo fratello Jack, il fenomeno che suona la batteria! Hai presente?”
Tu Giacomo, più o meno quando ti sei unito?
G: Nel 2014. Poi l’anno scorso abbiamo sponsorizzato un po’ l’EP e a metà anno abbiamo deciso che era giunta l’ora di fare pezzi nuovi. Il disco nuovo esce a settembre
Lo avete finito o state ancora lavorando?
D: Stiamo cercando ancora delle voci. Tu sai cantare? Abbiamo in mente una serie di gruppi da coinvolgere. Ci saranno più ospiti. L’idea è di buttar fuori un album che sia più dell’EP in quanto a indierockeggiate e zarrate. Il titolo proposto era Zarro lovers for indie rockers, però è stato bocciato.
M: Cambiamo anche un pochino sonorità, visto che negli anni abbiamo capito quel è la nostra strada, mentre nel primo EP è stato un direzionare cosa volevamo dare.
L’ultimo concerto a cui siete stati?
G: Subsonica al Weird Festival. Bellissimo, sono riuscito incredibilmente a vederli da vicino. Mi è spiaciuto non ci fosse Morgan. Era tantissimo che non li vedevo. Suoni perfetti!
M: Aucan a Nerviano al Big Bang Music Fest. Molto bello, loro bravissimi
D: Al Salice Club di Legnano, concerto di Brenneke nel suo progetto solista con loop station e umorismo che spacca. E poi Pagoda Trip, quintetto acid pop con atmosfere hawaiana. La cornice del Salice Club spaccava. Piccolo club, bell’atmosfera. Lì ho capito che la scenografia fa tanto. Se solo avessimo i soldi… anche per promuovere il nuovo album…
Avete un po’ d’ansia pre-album?
M: Si, decisamente! Poco prima dell’uscita di un album, non sai mai quello che succederà. Tu stai dando il tuo lavoro – che è frutto di anni – a delle persone che speri possano apprezzarlo. Noi spendiamo tempo della nostra settimana, oltre allo studio o al lavoro, nel fare musica. Penso perciò che sia un’ansia di ogni musicista, quella di riuscire a tirare fuori un album sperando che il tuo messaggio passi veramente.
Ci vuole l’etichetta giusta…
D: Ci vorrebbe anche un produttore artistico giusto. Sei talmente dentro a questa cosa da non capire più se quello che stai facendo ti rappresenta. Per quanto possiamo essere gasatissimi per l’album, la gente apprezzerà l’album come l’EP? Minchia, io spero di si, ma è una scommessa!
Eh ragazzi, ma è così: quando scrivi un libro, registri un disco o produci qualcosa è sempre così. Altrimenti fai i dj set e va sempre bene.
D: Eh si, bisogna osare e rischiare di fare qualcosa di più originale!
Volete dirmi qualche altra cosa?
M: Si, la vita è un biscotto, ma se piove si scioglie.
Ed ecco le prossime date dei Baudelaire’s Conspiracy: raggiungeteli sotto palco per stringergli la mano.
24 GIUGNO – Ranco (VA) // MANITUANA FESTIVAL
05 LUGLIO – Milano // L’APE NEL PARCO
30 LUGLIO – Induno Olona (VA) // CAIMANO FEST
05 AGOSTO – Angera (VA) // ROCK IN BRUSCHERA
21 SETTEMBRE – Rescalda (MI) // FESTA DELL’UVA