Live report di Francesca Vantaggiato
Photo report di Maria Elisa Milo
Quando Iosonouncane sale sul palco insieme ad altri musicisti, non è lo stesso dei live in solitaria, quando si presenta portandosi dietro solo la sua strumentazione, le sue basi e un pacchetto di sigarette.
Con il live al Carroponte ho raggiunto quota 4 concerti di Iosonouncane: per due volte l’ho visto esibirsi da solo e per due volte insieme alla band e ogni volta è un’esperienza diversa dalle precedenti, perché lui non è mai uguale a se stesso, i suoi brani suonano sempre in modo nuovo e inaspettato. Per questo continuo ad andarlo a vedere: per l’assoluta curiosità che mi sale appena scopro che suonerà dalle mie parti. Allora comincio a chiedermi: come suoneranno le sue canzoni? Quali sceglierà? Da quale album? Di che umore sarà? Quante sigarette si fumerà? A che livello sarà la sua incazzatura? Suonerà Stormi anche stavolta? Sarà solo o accompagnato? Tirerà fuori qualche invettiva contro il pubblico? Quanto durerà?
Insomma, ogni volta lo faccio per il brivido della sorpresa di scoprire un lato nuovo di questo (grande) artista. Se accompagnato dagli altri musicisti, il concerto di si trasforma in canto corale dal suono completo e complesso, come un abbraccio che stritola. Dal suono delle nacchere, a quello delle maracas, dal battito del tamburo a quello del piatto, ogni elemento si aggiunge al racconto, andandosi a piazzare nel posto giusto tra voce e suoni elettronici. E non ti sembrano più storie raccontate da un uomo solo in lotta con la realtà, col ricordo, con la voglia di libertà, ma la voce di tanti che si alza per gridare odio, disprezzo, nostalgia, amore, speranza, rifiuto della realtà, schifo, pena. Incredibile come, a distanza di tanto tempo, le sue canzoni continuino a piacermi così tanto. Forse proprio per questa sua capacità di reinventarle in continuazione.
Le canzoni dei due dischi si sono alternate, mescolate, si sono lasciate il passo a vicenda, rincorrendosi, guardandosi negli occhi. Hanno costruito una trama parecchio pesa, fatta di cinismo bastardo e disilluso, di realismo schietto e puro, ma anche di immagini bellissime. Io AMO e ODIO tutto questo. Ogni suo concerto mi lascia un senso di disagio, un sentimento di conflitto interiore, una confusione su quello che provo verso la sua musica, quello che dice, come si comporta. Un esempio? Parte Stormi ed inevitabilmente il pubblico va in visibilio già dopo mezzo secondo dell’intro. Allora lui attacca, ma dopo una decina di secondi si blocca, non suona più e fa: “È finita!”. Beh, io e Maria Elisa ci siamo guardate in faccia e siamo scoppiate in una risata grassa, fragorosa, irrefrenabile, gustosa. Perché è proprio una cosa da Jacopo Incani, tipo un coppino sul collo, una frustata con l’asciugamano arrotolato, una schicchera dietro l’orecchio!
Il monologo de La macarena su Roma è stato ancora più tagliente e disarmante dell’ultima volta che l’ho sentito, e la cattiveria di Jacopo aumentava in proporzione a quanto il pubblico sembrasse divertito. Io sinceramente non capisco questa reazione da parte delle persone, visto che quello che dice è di un’amarezza e di un realismo che a me personalmente lasciano paralizzata e inerme davanti alla consapevolezza di quanto il mondo faccia cagare e di quanto io faccia parte di questo mondo, ormai assuefatta al modello di vita contemporaneo occidentale, ai modelli standardizzati di consumo, di intrattenimento, di cultura, proprio io che avevo chissà quali sogni da ragazza e adesso lavoro 8 ore al giorno e alla sera vorrei solo togliermi le scarpe e morire sul divano, magari non guardando Un posto al sole ma How I met Your mother, Modern Family, un qualsiasi film di Rete4 o qualche altra cagata defaticante… cioè, davvero, cosa c’è da ridere o da compiacersi nel monologo di quella canzone? Aggiungete pure che ci ha spiattellato in faccia il fatto che noi eravamo lì a pagarlo per dirci quello che ci stava dicendo, perché lui è più bravo di chiunque altro ad osservare tutto, perché nella vita bisogna guardare tutto, anche Un posto al sole, e lui lo sa fare bene, meglio di tutti noi.
Il corpo del reato, cantata in acustico, solo lui e la chitarra, aveva un’amarezza da strapparti il cuore, da farti venire un raptus isterico mentre lui era lì che cantava, sussurrava, sputava sul pavimento e il pubblico sembrava quasi non esistere davanti a lui, anzi mi sembra che ad un certo punto ha tipo zittito tutti con uno stizzito Shhhhhh!
E alla fine, se ne è andato. Ma lo ha fatto di botto, ha detto buona notte e se ne è andato, ma quasi scappando giù dal palco e mandando a quel paese tutti. Probabile che sia stata una mia impressione, però sembrava veramente nero, più del solito almeno. Se ci fosse stata una porta per uscire dalla scena state sicuri che l’avrebbe sbattuta! Ci posso scommettere. Non sapremo mai se fosse davvero di adirato oppure se è una mia invenzione, possiamo solo immaginarne i motivi: non era dell’umore giusto, avrà avuto divergenze con i tecnici,è stanco di suonare sempre le stesse canzoni dopo un anno e mezzo continuo di live, è scontento del suo pubblico, forse è stanco di sentir acclamare Stormi come fosse la hit dell’estate, idem per le richieste di bis (ragazzi, capitelo: Iosonouncane non li vuole fare i bis!). E quindi per mille motivi, ci sta che alla fine prende e se ne va incazzato. Oppure – come sospetta una mia amica – è solo che ultimamente ha passato troppo tempo coi Verdena!
Jacopo Incani è fatto così, ed io non vedo l’ora che faccia un nuovo disco. Spero davvero che arrivi presto.