Photo report di Maria Elisa Milo
Live report di Francesca Vantaggiato
Bonetti è arrivato sgommando alla grande con la sua Twingo gialla (no, non è vero: guidava piano sui 20 Km/h, ha messo la freccia e ha parcheggiato) con un leggerissimo ritardo dovuto al ben noto traffico del casello di Milano. Ha scaricato tutta la strumentazione e si è preparato la sua bella postazione in un angolo del Madama Hostel, pieno di gente che beveva e mangiava beatamente (c’erano italiani, brasiliani, biondi tedeschi e sospetto diversi Erasmus). È venuto a bere un bicchiere di vino insieme alla nostra compagnia. Indossava il suo caratteristico berretto ed una felpona dello stesso colore verde militare. Era la prima volta che ci vedevamo dopo l’intervista fatta a Torino, quando mi aveva mostrato la sua strumentazione elettronica che voleva utilizzare nei prossimi concerti per sperimentare un diverso tipo di spettacolo rispetto alla tradizionale esibizione con sola chitarra / chitarra e batteria. Immaginate il livello della mia curiosità realizzando che avrei assistito alla sua prima volta! Ad un tratto, gli fanno cenno: tocca a lui. Mentre si dirige in postazione, io mi distraggo un nano secondo per scambiare due chiacchiere con gli amici, quando vedo Maria Elisa che si sbraccia verso di me mostrando un sorriso enorme e gridandomi “Fraaaa, guardalo!”. Allora volto lo sguardo su Bonetti e scoppio in una risata fragorosa: al posto della felpa verde erano comparse una maglietta bianca brillante (forse ciniglia?) e un gilet blu con milioni di paillets luminose.
Così inizia il concerto di Bonetti. La prima canzone è Elena, la mia preferita. Seguono a rotella gli altri brani dell’album Camper, riadattati per questo live inedito in cui la chitarra si mescola alla tastiera e agli altri suoni elettronici e alle distorsioni della pedaliera che si intravede sotto al tavolo. Ogni tanto Bonetti s’inceppa, si confonde coi tasti o non becca il pedale, ma tutto questo è favoloso: un Bonetti in versione cabaret non me lo aspettavo proprio e devo dire che è riuscito a stupirmi e a piacermi davvero parecchio. Ad un certo punto tira pure fuori l’armonica per omaggiare il premio Nobel Bob Dylan (!). Un concerto test, non solo per gli strumenti utilizzati, ma anche perché ha cantato due pezzi del suo prossimo disco di cui ci aveva parlato nell’intervista: il primo s’intitola Il futuro (testo molto bello, musiche che potrebbero sicuramente migliorare se togliesse quell’effetto stile I Cani che a me personalmente non piace); il secondo si chiama Cosa mettono nei muri (l’ho trovato di una bellezza disarmante, mi ha lasciata esterrefatta per le immagini che ha saputo creare, per la sincerità con cui ha messo a nudo i suoi sentimenti e m’ha fatto salire una gran voglia di ascoltare il nuovo album).
E poi, delle gran risate! Ci sono stati momenti in cui ho pensato che sarei finita come lo Zio Albert in Mary Poppins: ridevo così tanto e così di gusto da credere che sarei volata in aria con tutta la sedia fino a schiantarmi sul soffitto! Già un Bonetti in gilet di pailletes è uno spettacolo, aggiungeteci la sua versione piano bar di Rap futuristico e di I got a feeling e avrete presente quanto la scena fosse surreale! Sono certa che se solo Fabri Fibra e The Black Eyed Peas sapessero delle sue cover smetterebbero di cantare.
Ho passato gran parte del concerto a commentare le canzoni con la mia amica Rita, che lo vedeva per la prima volta dal vivo e non smetteva di farmi notare quanto somigliasse a Giovanni Truppi nel suo essere completamente assorbito nel proprio universo personale fatto di sogni, di metafore, di ironia e anche di autoironia. E infatti – notizia freschissima – il 28/10 i due suoneranno insieme a Milano, in un concerto che non mi perderei neanche per tutte le birre del mondo!
Quel giovedì notte, sono tornata a casa con il cuore pieno di felicità, cosa che non mi accade spesso, essendo un’inguaribile cinica pessimista. Ma il concerto è stato davvero bello, e passare il resto della serata con Bonetti e i suoi amici a sparare cazzate mi ha dato conferma dell’onestà e umiltà con cui ha intrapreso la strada di cantautore. Un concerto che mi ha dato conferma anche di un’altra idea che mi ero fatta di lui: Bonetti fa che cazzo gli pare, e non gliene frega niente di quello che pensa la gente. Lui è fatto così, questa è la musica che sa fare e che ama suonare. Punto e basta. Per concludere, vorrei citare un passo di un libro che è venuto fuori anche durante l’intervista, ossia 31 Canzoni di Nick Hornby, quando l’autore si dice abbattuto dalla facilità e dalla frequenza con cui i cantanti diventano famosi pur non proponendo niente di originale, ma rimescolando cose già sentite, testi già scritti, melodie già conosciute “e la cosa, ormai, ci sembra perfettamente normale, come se fosse superato aspettarsi che un musicista scriva tutto da solo una cazzo di canzone di tre minuti”*. Ecco, a mio parere, è questo il pregio più grande di Bonetti: lui scrive tutto da solo delle cazzo di canzoni di tre minuti, senza chiedere in prestito niente a nessuno e tirando fuori della roba che è sua e solo sua, in pieno stile Bonetti. Il solo e l’unico Bonetti.
*note: La citazione è tratta da 31 Canzoni, N. Hornby, TEA Ed, 2004, pagg. 152-153.