di Gustavo Tagliaferri
A volte il silenzio è tale da generare delle forze che man mano possono impadronirsi dell’ambiente circostante senza colpo ferire, seguendo una corrente la cui apparente staticità inganna, poichè intenta a non risultare mai uguale a se stessa, un suono che tanto può risultare caro a certi musicisti del periodo inerente e successivo ai Japan, quanto ad una fetta di rock progressivo anni ’90. Stefano Panunzi è, a tal proposito, un pesce fuor d’acqua, per quanto concerne la sua musica, che sia in solo od in compagnia, ed è proprio la seconda opzione che porta a guardare nuovamente in direzione di Fjieri, un monicker condiviso con musicisti illustri quali Jakko M Jackzyk (Dizrhythmia, King Crimson), Mike Applebaum, ma anche colleghi come Nicola Lori e Giampaolo Rao. “Words Are All We Have”, ultima fatica in studio di una simile ensemble, non viene meno agli intenti da sempre cari a musicisti di cotanto calibro. L’anima progressive rimane e tanto si presenta in una forma basilare con il benessere imperante di In The Morning, in antitesi con la sommessa disperazione al centro di Zombie Love, quanto svela quasi immediatamente ulteriori pregi, rappresentati dal moog e dalle scosse elettroniche di It Would All Make Sense, i cui germi da ballad sono tali da risultare ancor più marcati in Damaged Goods e soprattutto in Not Waving, But Drowning, uno dei brani clou del disco, marcato da una performance vocale, quella onnipresente di Jakko, che lo rende in sintonia con il mood di David Sylvian, ma anche di uno Sting d’annata, seguendo la falsariga di un’atipica forma di pop, per non parlare, a livello pianistico, di una Hidden Lives che nella sua aurea di relax si nutre di ispirazioni ambient. Non meno interessanti sono The City Lights, il cui pieno di groove e di pathos emotivo è tale da favorire una soave ritmica su cui a sua volta si sottende un affascinante piano Rhodes, i sapori mistici di cui si fa mano mano oggetto una Flame così avviluppante eppure rumorosa, e soprattutto da una parte il climax che si crea nel momento in cui si svolge una tirata Before I Met You, ma anche nel sapore etereo di These Words (Words Are All We Have), dall’altra i momenti strumentali, dal trip hop jazzato di Sati che sembra richiamare certe situazioni davisiane à la “Tutu” in chiave onirica, a loro volta adornate da una sezione ritmica in graduale crescendo, ad una Oriental Dream che tiene fede al sua indole donando digressioni rock intrise di espedienti eterei. Non sarà un progetto per tutti, considerando il confine labile che separa il progressive oggigiorno dal mero onanismo strumentale, ma è indubbio come Fjieri non ceda a quest’ultima tentazione, confermando Panunzi come una felice eccezione nostrana, provvista di cartucce con cui colpire a fondo. E “Words Are All We Have” merita di essere goduto non poco.
Fjieri – Words Are All We Have
(Emerald Recordings, 2015)
1. Oriental Dream
2. The City Lights
3. Before I Met You
4. Not Waving, But Drowning
5. It Would All Make Sense
6. Flame
7. Sati
8. Hidden Lives
9. In The Morning
10. Zombie Love
11. Damaged Goods
12. Those Words (Words Are All We Have)