Intervista di Francesca Marini
Riccardo Ruggeri è la voce e la loop machine del duo Gibilterra, nuovo progetto acustico che si muove tra pop e cantautorato. I due musicisti biellesi hanno da poco pubblicato il singolo Da domani torno da me che, insieme ad un video, anticipa l’uscita di un album in arrivo che avrà rimandi al blues e al flamenco. Con Riccardo abbiamo parlato di questa avventura musicale, della terra a cui si sono ispirati, delle loro influenze e dei loro ascolti in una piacevole chiacchierata al telefono.
F. Gibilterra: come vi siete incontrati con Martino Pini e come nasce l’idea del gruppo?
R. L’incontro è avvenuto dieci anni fa perché tutti e due abbiamo partecipato ai seminari di Umbria Jazz, abbiamo studiato con insegnanti americani a Perugia. Da lì abbiamo deciso di suonare insieme e abbiamo fatto un duo acustico, suonavamo soprattutto cover. Entrambi veniamo da altri gruppi che già esistono e fanno dischi, però noi due insieme volevamo fare una formazione semplice, con la chitarra in spalla. Una cosa onesta, non troppo criptica nei testi. Ci siamo detti “perché non facciamo un disco?” e ci abbiamo messo dieci anni! Finalmente ce l’abbiamo fatta, abbiamo registrato un po’ di tracce. È appena uscito il singolo, Da domani torno in me.
F. Da domani torno in me: in che senso?
R. Bisogna sempre dichiararsi per quello che si è, ognuno nella propria semplicità e nella propria imperfezione. Siamo imperfetti e quindi abbiamo anche delle debolezze. Vogliamo sempre risolvere questi dubbi, queste incertezze “da domani“. Ma possiamo rimandare ad un domani che può essere l’eternità, perché queste debolezze alla fine ci rendono noi stessi e in cuor nostro non vogliamo cambiarle. Per questo rimandiamo a domani, ma non le cambiamo mai. Fanno parte di noi stessi. È una voce che vuole essere in controtendenza a tutto ciò che viene richiesto, anche nel mondo della musica di oggi: la “talent generation“, tutti devono essere bravi, tutti devono essere sicuri, tutti devono dirti come devi essere. Io non li guardo i talent, anche perché ho buttato via il televisore sette anni fa e non ne sento la mancanza (ride NdR). La debolezza fa parte di una persona e non è necessario che gli altri ti dicano che devi sistemarla. Ti risolve la vita in fondo e te la fa vivere meglio, ti fa capire te stesso.
F. Com’è nata l’idea del video?
R. Abbiamo cercato delle soluzioni a basso costo. Ho inserito alcune cose che si possono fare all’interno di una stanza e gli ho dato una narrazione. Ogni volta che lo vedo saltano fuori cose nuove, perché tutti quelli che hanno partecipato al video fanno delle cose. La soluzione più economica e meno complessa era quella di avere un luogo fisso e di chiamare degli amici che fossero competenti. C’è gente che si occupa di teatro, o musicisti, materiale umano buono. In cinque ore abbiamo fatto le riprese. Il video è stato montato da Matteo Zin, videomaker di Biella molto bravo che ci ha dato anche una mano con le luci. La situazione era un po’ critica: la luce era precaria e faceva molto freddo. Il messaggio del video è quello della canzone: trovare varie soluzioni per fare un video che piaccia senza riuscirci e arrivare alla fine del video dicendo “rimandiamo a domani che forse ce la facciamo a farlo“.
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F. Nel video ha partecipato Alessandro Chiorino dei Pagliaccio. Sbaglio o con lui stai facendo qualcosa?
R. Con lui suono da un sacco di tempo, saranno sei o sette anni. Abbiamo due band con cui andare a suonare in diverse occasioni: una si chiama Radiorock e una si chiama I Pigri. Con i primi facciamo il rock anni settanta italiano e con i secondi il cantautorato italiano. Siamo amici. È il cantante dei Pagliaccio che ho sempre seguito. Mi andava di creare una connessione. Gli ho chiesto di partecipare al video e ha accettato. Non vedeva l’ora di fare il balletto.
F. Se dovessi definire con una parola il genere che fate, quale sarebbe?
R. Questo pezzo qui vede la collaborazione di un batterista e delle sovraincisioni di basso, ma in generale nel resto dei pezzi siamo molto acustici. Anche dal vivo vogliamo essere così: chitarra, voce, loop machine, percussioni, cajon. In realtà il disco è tutto sull’acoustic pop. Quindi un pop acustico potrebbe essere la definizione che ci abbraccia. È un po’ una categoria da Myspace… Pop acustico e scanzonato, mettiamola così.
F. Un po’ cantautorato, un po’ pop. Quali artisti hanno influenzato il vostro stile?
R. Io e Martino abbiamo tante derivazioni diverse perché abbiamo fatto un percorso simile che è partito dal rock, anche dal rock più duro, il metal. Lui come chitarrista è passato per i vari Steve Vai, Satriani, Malmsteen, Pat Metheny per arrivare poi ai songwriters americani come John Mayer. Dal punto di vista delle melodie e delle liriche ci rifacciamo a quel cantautorato, quel filone che passa attraverso Ivan Graziani, Rino Gaetano, Max Gazzè. La scuola romana: Daniele Silvestri è stato un ascolto importante. La semplicità melodica di Battisti. Non la canzone troppo impegnata. Ho un altro gruppo con cui ci piace andare sul filone di Tenco e vogliamo andare più dentro le emozioni. Forse è un modo più drammatico di esporre le cose. Invece con i Gibilterra vogliamo essere leggeri e semplici. Una riflessione sulle nostre vite alla deriva, infatti il disco si dovrà chiamare Tante piccole verità che non sono altro che la realtà quotidiana nostra.
F. Ci puoi anticipare qualcos’altro riguardo questo disco che dovrà uscire?
R. Un anticipo è che siamo indipendenti: siamo andati alla ricerca di etichette, abbiamo anche lavorato con un’etichetta per un anno ma ci va di essere indipendenti con questo progetto, puri. Vogliamo gestirci le cose per fatti nostri: la produzione, le strategie per la promozione, eccetera. Sarà un insieme di brani alcuni scritti insieme, altri da Martino e altri da me. Gibilterra è questo territorio un po’ anomalo al confine tra l’Europa e l’Africa dove c’è un monte in cui in cima c’è una popolazione di scimmie. Siamo andati a Gibilterra perché volevamo effettivamente capire perché volevamo chiamarci così e lo abbiamo capito. Se uno va a Gibilterra lo capisce. La copertina del singolo è una scimmia ed era già pronta a gennaio e poi a Sanremo è arrivato Gabbani. Lui ha portato la scimmia e fa lo stesso gesto che fa la nostra nell’immagine. Infatti non sapevamo se cambiarla, ma alla fine l’abbiamo tenuta: l’abbiamo fatta prima di Gabbani e poi non crediamo che possa dargli fastidio (ride NdR). Martino poi in uno dei suoi percorsi musicali è anche diventato chitarrista di flamenco. Lavora con delle compagnie di flamenco. Nel disco saranno anche elementi che hanno a che fare con il sud della Spagna. Quindi Gibilterra anche per questo. Flamenco, songwriting e blues americano, melodia italiana: un ibrido di tutto ciò.
F. Cosa ascoltano in generale i Gibilterra, al di fuori dello studio?
R. Martino ascolta flamenco e chitarristi vari. Io vado sulle avanguardie americane tipo Snarky Puppy, li adoro. Poi le musiche tradizionali, io sono un appassionato di etnomusicologia. Mi piace anche il mondo dell’elettronica: Apparat ad esempio. Tutte cose che non c’entrano niente con quello che facciamo (ride NdR). Cosmo è una realtà italiana che mi fa impazzire. Il concerto è bellissimo perché hanno delle luci che sono collegate agli strumenti. Poi i testi sono molto intelligenti. Vive qua vicino tra l’altro, a trenta chilometri.
F. Che dischi in uscita stai aspettando, oltre al vostro? Si prospetta un 2017 ricco di musica.
R. Sto aspettando i The Kolors che sono una band che ora è mainstream, ma io li conosco da un sacco di anni. Loro sono dei musicisti fantastici, preparatissimi, anche delle persone molto vere. Io ho i primi demo loro. Poi ho sentito il disco che è uscito che non mi è dispiaciuto. Adesso sono curioso di vedere che direzione vogliono prendere, se si buttano sul mondo dei teenagers oppure se mantengono una linea ben precisa legata al funk-rock. Io con loro ci suonavo a Milano, dividevamo le serate. Ero con la mia band, i Lomé. Loro sono molto bravi, impeccabili. Poi però la maggior parte delle persone li ha visti attraverso un canale che è il talent show ed è ovvio che si sia creato un pregiudizio. È una percezione distorta perché i talent possono venderti quello che vogliono. Attraverso la cover di Money dei Pink Floyd hanno fatto a tutti un effetto diverso. Poi sto aspettando il concerto di James Blake, il 16 giugno a Milano. Suona con i Radiohead. Sto aspettando il nuovo disco dei Pagliaccio, non so però se esce quest’anno.