Recensione di Gustavo Tagliaferri
L’eclettismo non è una qualità da tutti. L’eclettismo è un obiettivo da conseguire dal profondo del cuore, e se, una volta espresso al meglio delle proprie capacità, trasuda rumorose soddisfazioni da tutti i pori ancora di più. Un’altra Roma, un altro suono ubicato in uno dei centri dello stivale, evidentemente, ed è più che giusto così. Le intemperie passate dai Piuma Makes Noise, finalmente trovatisi faccia a faccia con la pubblicazione di un disco d’esordio quale l’omonimo in esame, forse ci volevano davvero e denotano analogamente come, uscendo fuori dal mucchio, si possa colpire pur apparendo particolarmente esili. Non vi è debolezza in un pane quotidiano composto da nove tracce e tre remix, nel cui corso risaltano le dotazioni vocali di Denise Mencarelli, la cui scuola pare fondere frequentazioni jazz, soul, se non interamente black: se Moon potrebbe essere, a modo suo, un r’n’b colmo di una cupezza che risente di atmosfere waveggianti, presente in due versioni e con ulteriore manforte da parte di Amptek, la cui versione è colma di glitch e simpatizzante nei confronti della corrente house, ma anche trance, Sugar Daddy si rivela come un mostro che all’esterno infonde sfumature electro-funk ma che ribolle di nervosismo rockeggiante, tutt’uno con la ripetizione di un mantra ossessivo; similmente Lullaby è pregna di affascinanti atmosfere smooth jazz e non si allontana molto da tale linea d’onda la cadenzata Bamboo Bud, con il suo sassofono colmo di intricatezza e seduzione, il cui Bassliner Remix è una controparte assai in linea che lascia emergere un lato maggiormente sospeso tra dubstep e reggae. Non mancano accezioni pop che fuoriescono tanto dal trascorso sentimentale di Hinara, comunque non esente da chiose psichedeliche favorite dall’operato di un versatile chitarrista e deus ex machina quale Glauco Strina è, quanto da una carica che gradualmente si accumula quando parte Mirrors, ed a loro volta momenti man mano sempre più spinti ed accelerati, retti da un filo conduttore che parte da Ginsberg (1972), dominata da un flow meccanico ed ipnotico a cui si accompagnano un’elettro-acustica sezione ritmica ed un’evidente simpatia rivolta a Jimi Hendrix ed in particolare a Voodoo Child, e finisce con la conferma di quel già preannunciato rock grazie all’avvento della frenetica e dilatata Pain Killer, mentre nel mezzo si trova un’antitesi costituita da intrusioni techno, quelle su cui si muove Good Flow Bad Flow, composizione dall’incedere alquanto assassino, tra riff taglienti e beats serrati. Non vi è standardizzazione nelle intenzioni dei Piuma Makes Noise, quanto una voglia sempre maggiore di lasciarsi conquistare dal risultato in esame, un disco che non esce tutti i giorni e proprio per questo necessita del giusto ritaglio da parte degli appassionati, se non degli outsiders in generale.
Piuma Makes Noise – s/t
(2017, Dirty Box Records)
1. Sugar Daddy
2. Moon (Radio Edit)
3. Ginsberg (1972)
4. Hinara
5. Lullaby
6. Good Flow Bad Flow
7. Bamboo Bud
8. Mirrors
9. Pain Killer
10. Bamboo Dub (Bassliner Rmx)
11. Moon (Amptek Rmx)
12. Moon (Ego Cut)