Intervista di Gianluca Clerici
Lo Yeti. Dovrei tremare di paura secondo una qualche logica letteraria, dovrei attendermi musica scura in volta e sospesa di tensioni irrisolte. Ed invece penso di avere tra le mani un disco liquido come il suo titolo, una canzone d’autore sottile, si visionaria ma decisamente romantica. Lo Yeti è Pierpaolo Marconcini. “Le memorie dell’acqua” è il titolo di questo esordio che sinceramente stupisce e si fa riascoltare…una…due…tre volte…da grafico pubblicitario a cantautore il passo non è breve ma è stato vincente. Il suo punto di vista alle domande di Just Kids Society:
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Fare musica è un’urgenza che viene da dentro; ci sono talmente tante parole e melodie che frullano nella testa che tirarle fuori, metterle su carta e su uno strumento, diventa necessario. Per cui credo che l’incipit sia uguale un po’ per tutti gli artisti. Il confine dopo è labile: non si tratta solo e semplicemente di compromessi che ti trovi a fare un giorno nella tua vita, non decidi se vivere di musica, farne un lavoro, o di altro; devi arrivare, dritto a qualcuno, a tanti. E per fare questo credo sia necessario sapersi contornare anche di altre persone che riescano a valorizzare il tuo progetto, se valido, mettendoci la loro passione e la loro professionalità. Si tratta di capirne l’essenza e saperla mettere nel contesto giusto.
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Non credo in una crisi culturale, credo magari in una frammentazione di ambiti, che portano anche a una frammentazione di pubblico. I generi, le proposte musicali oggi sono talmente tante che è impossibile poter seguire tutto. Diciamo che c’è una saturazione dell’offerta, per cui è ancora più importante per chi fa musica, per chi fa arte, sapersi “specializzare”. Non puoi parlare a tutti, quantomeno è difficile, ma puoi parlare bene a qualcuno. Siamo in un momento transitorio, per la musica, per il mercato musicale, credo manchi ancora la coscienza reale dei mezzi che si hanno a disposizione per comunicare. L’industria sta ancora cercando di sparare le ultime cartucce con la vendita di supporti fisici per ascoltare musica, si cerca di vendere qualcosa che ormai non funziona più da anni; il “ritorno” del vinile, per quanto bello, è sintomatico di un momento di incertezza. Ci si rifugia nel passato, ma dovremmo in qualche modo andare avanti.
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
L’informazione cerca di educare un pubblico che ormai si è già informato chissà dove. Rimane una questione di frammentazione comunicativa. Ci sono troppe campane da ascoltare e in più l’informazione oggi vive in real time; si è tornati a una sorta di passaparola, sintomo di un iper connessione sociale. Sappiamo tutto subito, vogliamo essere informati anche a discapito della veridicità.
Lo Yeti… l’amore di un Bufalo e le immagini liquidi di questa nuova canzone d’autore. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Il mio progetto immagino vada a inserirsi in quella nicchia (che tanto nicchia più non è ormai) di cantautorato indie, che oggi vede tanti nuovi gruppi e tanti giovani artisti.
Anche in quell’ambito però, vedo molta omologazione, nelle scelte musicali e produttive e soprattutto in quelle lessicali. C’è una grande semplificazione lessicale a favore di una immediatezza comunicativa, il raccontare l’”adesso”, che va a discapito di quella ricerca verbale e poetica di più ampio respiro che caratterizza e ha caratterizzato secondo me i grandi cantautori italiani. Il mio senso lo cerco li; non voglio fare retromarcia, ma credo ci sia ancora spazio per raccontare e raccontarsi in un modo più dolce.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
La grande difficoltà di questo mestiere credo risieda nell’onestà. Degli artisti intendo. Non è facile essere sempre uguali a se stessi. Si tende spesso, più o meno volontariamente, a voler impersonare qualcun altro. Si tratta di provare a mettersi a nudo e a non piacersi magari.
E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Beh, dopo si passa ai discorsi di cui sopra, legati al mercato, alle difficoltà di un sistema musicale, soprattutto in Italia, che strumentalizza l’artista, lo svuota di realismo e originalità, per omologarlo a qualcosa che possa portare un ritorno economico sicuro, anche solo per una stagione.
Posso sembrare molto pessimista riguardo il panorama musicale italiano e il suo futuro, in verità ho grande fiducia; vedo tanto fermento e voglia di novità, che solo dieci anni fa mi pareva persa.
Finito il concerto de Lo Yeti: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Certamente musica Soul. Così vado a ballare anche io.
Ti piace Just Kids? Seguici su Facebook e Twitter!