Dietro al bizzarro nome d’arte BACIAMOLEMANI si celano ben sette giovani musicisti provenienti dalla fervente Sicilia: Piero Pizzo, Andrea Dipasquale, Marco Guastella, Davide Dipasquale, Thomas Occhipinti, Andrea Savasta e Andrea Iozzia. Cardio – Tonic è il loro terzo album, prodotto da La Corriera Produzioni, ed in effetti il titolo non poteva essere più azzeccato: è un album pieno di vitalità, corroborante ed energetico, “tonic”, per l’appunto, ma in cui non manca certo spazio per il “cardio”, vista l’attenzione e la cura per il dettaglio e la scrittura testuale che rendono il loro “tropical-rock”, come amano definirlo i ragazzi, assolutamente sfizioso, originale e ben fruibile; un pop – rock d’autore scanzonato, che rifugge la ripetitività e la banalità. I BACIAMOLEMANI presenteranno il disco martedì 25 aprile al locale LE MURA di Roma (via di Porta Labicana 24, ore 22.00).
Intervista di Francesca Amodio
In Mi vuoi bene, secondo singolo estratto dal vostro ultimo album Cardio – Tonic, c’è una scanzonata ma precisa critica all’essere umano contemporaneo, spesso specchio e prodotto commerciale del suo tempo più che persona pensante. Com’è stato scrivere il testo di questa canzone?
Tra dialoghi da salotto e amori troppo rapidi per lasciare il segno, nasce Mi vuoi bene, un’istantanea moderna sul concetto d’amore, un diretto spaccato del sentimento giovanile oggigiorno tradotto in rapporti poco solidi e fugaci, che rappresentano la maniera più comoda e meno impegnata di vivere le relazioni. Scrivere il testo della canzone non è poi stato complicato: siamo dei neotrentenni che vivono di petto il cambiamento culturale che la nostra società ha subìto negli ultimi dieci anni e, in quanto tali, artisti a metà strada tra il romanticismo pre-social(e) e il pragmatismo moderno. Abbiamo vissuto in prima persona il costante aumento delle possibilità individuali che hanno marcato sempre più l’idea che un rapporto denso e duraturo potesse bruciare le proprie aspirazioni. Citando una frase del brano, (“forse era meglio restare amici per cinque o sei anni per respirare quell’aria pulita quando e se ci gira…”), prendiamo le distanze da un mondo d’amore soltanto da un punto di vista ideologico ed intellettuale, ma, per il resto, sappiamo con certezza che ci manca tanto godere delle piccole cose.
Esiste ancora in Italia la musica di protesta? Voi pensate di farla, in minima parte?
La musica di protesta, politica o più semplicemente “impegnata”, al momento latita. Cercando di analizzare la situazione politico-sociale attuale, pensiamo ci siano le condizioni perché questa possa tornare. In Italia la classe media di cui siamo quasi tutti figli sembra destinata a sparire così come l’idea socialista. Forse è anche per questo che in giro ci sono sempre meno gruppi e sempre più solisti; noi perseveriamo nell’idea di gruppo, di condivisione, dipingendo dei quadri con cui raccontiamo i vizi e le abitudini della provincia col distacco emotivo e morale della chiacchiera italiana da bar.
Sul palco siete ben sette polistrumentisti. Quando si produce in studio, quanto è difficile la commistione per arrivare ad un risultato finale di sette teste pensanti?
La difficoltà sta in realtà a monte, nel trovare un punto comune da sviluppare. Non si tratta di sviluppare sette idee ma una sola, che rappresenti e accomuni il gruppo. Il polistrumentismo diventa poi un valore aggiunto in studio, visto che ogni musicista è in grado di avere intuizioni su più “campi”. Solo se si ha un mente un obiettivo realmente comune lo si può raggiungere in gruppo.
Che rapporto avete con la vostra terra, la Sicilia?
Ogni siciliano ha un rapporto travagliato con la sua terra natia, in noi vive sempre la diatriba “siciliano di scoglio/siciliano di mare aperto”, citando Tornatore. Abbiamo sempre voglia di viaggiare e di scoprire ma al tempo stesso non riusciamo a fare a meno della casa e delle radici a cui siamo molto legati. Molti cavalcano il cliché della vanteria per la propria meravigliosa terra: noi abbiamo dei ricordi indelebili legati a casa nostra, ma spesso ci piace raccontare il nostro microcosmo negli aspetti che lo accomunano a qualsiasi altro punto geografico del paese.
C’è un giovane artista o una band emergente che ascoltate e che vi sentite di consigliare?
Un giovane artista che sicuramente consigliamo è il cantautore Davide Di Rosolini. Eclettico e di grandissima fertilità artistica.
Un artista che vi ha condizionato e che vi accomuna?
Paolo Conte è stato sempre un punto di riferimento in questo senso. Uno sguardo elegante rivolto ai suoi personaggi da commedia dell’arte sempre con la meraviglia e la voglia di scoperta tipica dell’uomo di inizio novecento.
Un concerto a cui avete assistito di recente e che vi ha particolarmente colpito?
Ultimamente abbiamo assistito alla tournée di Brunori Sas. Uno spettacolo semplice e di cuore, privo dello snobismo che caratterizza gran parte del cantautorato contemporaneo. Canzoni che riescono a stare a cavallo tra la generazione pre-social e quella odierna senza forzature. La sua semplicità poetica ci ha colpiti e affondati.
Qual è lo scoglio più difficile da superare per una giovane band che fa musica in italiano in Italia?
Abbiamo suonato molto all’estero negli anni passati e possiamo buttar giù un primo bilancio a riguardo: in Italia c’è una tendenza all’allineamento spasmodico verso certe correnti. Rimanere “artigiani” e “indipendenti” sembra quasi impossibile. Fin qui è stato paradossalmente più facile farsi strada in Europa cantando non in italiano ma addirittura in dialetto siciliano!
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