Recensione di Gustavo Tagliaferri
Giovanni Ferrario, checchè se ne dica, non si è mai curato della voglia di piacere a tutti i costi. A parlare è il suo percorso, in particolar modo le tracce lasciate sia in ambito solista che con l’ausilio dei molteplici progetti a cui ha preso parte, dagli Scisma ai Lula fino ai Micevice, che il ruolo fosse quello di fondatore, di produttore o musicista addizionale. Un felicissimo cane sciolto, praticamente, se non inviso immeritatamente sottovalutato dal volgo medio odierno. Più di otto anni dopo “Headquarter Delirium”, pertanto, ritrovare un simile esponente nuovamente con un album in studio a proprio nome, anzi, come Giovanni Ferrario Alliance, considerate le ulteriori presenze di rilievo al suo interno, risulta essere una notizia più che gradita, oltre che una nuova sfida a cui l’artista sa sempre come fare fronte, intriso come è di sfumature un po’ british un po’ devote alla scuola statunitense di rilievo che non costituiscono alcuna perdita di tempo od oggetto da scimmiottare. Ferrario, nel comporre le proprie canzoni, dimostra di avere una classe da non poco conto, che spazia tra espedienti southern, rilassati e dall’ispirazione rurale, se non particolarmente onirici, per quel che riguarda Oaxaca e focalizzati su un mood maggiormente galoppante nel corso di Souweija, i cui certi germi sono a loro volta udibili anche nella marzialità allucinata di Brush, un canto non-canto accostabile ad un Garland Jeffreys su di giri, intento a tentare certe dinamiche coheniane, e situazioni atipiche quali lo spoken word di Bristol, spaccato di vita mosso da una trascinante sezione ritmica e tanto echeggiante lo spionaggio 70’s nella sua nudità quanto, a suo modo, quasi classicheggiante, soprattutto se questi elementi fanno pendent con la voce di Georgeanne Kalweit, e le dilatazioni wave che avviluppano la sussurrata Where To Go per poi abbandonarsi ad una sinergia hawaiiana tra chitarre slide ed ukulele, la cui antitesi per certi versi è rintracciabile nella vorticosa Wish 33rd, escursione la cui pacatezza è pronta a sfociare tout court nel rock, visto il tripudio di riverberi. Notevoli anche gli occasionali accenni progressive che, pur dimenandosi tra arpeggi fuzzeggianti e tastieristici, rivelano la tendenza al folk di Goose 4, il progressivo cedimento a psych-electro ballad come He Fell, tipicamente “Revolver”iana nell’ossatura di base e lo strano ibrido, una mini-suite improvvisata un po’ jazzata, un po’ souleggiante, un po’ bowieana atta a sfociare nell’intimità, riscontrabile nel corso di Cecina, ma una menzione particolare la merita la riproposizione, dal repertorio di Robert Wyatt, di Costa, tra mellotron, pianoforte ed archi, trasposta ai giorni nostri sembra una bossanova distorta che si attiene persino allo stile dei Dirty Three, sospirato ed espressionista, forse in lieve antitesi, ma comunque tutt’altro che slegato dalla dimensione canterburyiana di cui questi è figlio. Poche ambizioni, eppure tante idee, realizzate sempre e comunque con la dedizione, la volontà e la curiosità di sempre: forse l’ideale chiave di lettura per “Places Names Numbers”, con cui Giovanni Ferrario riesce nuovamente a sorprendere e a far sì che il proprio operato meriti di essere esplorato molteplici volte.
Giovanni Ferrario Alliance – Places Names Numbers
(2016, WWNBB Collective)
1. Soweija
2. He Fell
3. Bristol
4. Goose 4
5. Where To Go
6. Oaxaca
7. Brush
8. Wish 33rd
9. Cecina
10. Costa