LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: FAB

Intervista di Gianluca Clerici

“Bless” è un bel disco di quel folk americano o inglese che poi sfocia in un pop di maniera pieno di sospensione e di spazio. “Bless” è uscito nel 2014 ma Fab decide di pubblicare un nuovo video ora. Forse il brano più convincente e più intimo di tutto il disco: si intitola “I Have a Heart”. Cogliamo l’occasione per ospitarlo in questa rubrica del venerdì. Ecco un altro esempio di quando la musica nostrana sa essere decisamente nuda di confini e di bandiere. Il punto di vista di Fab alle consuete domande di Just Kids Society:

Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Credo che gli uomini più fortunati su questo pianeta sono coloro che sono riusciti a fare della loro passione il loro mestiere. E se di mestiere fai il musicista ciò comporta alcune precise responsabilità. La prima, verso il pubblico che ti segue. Ho sempre ritenuto che sia totalmente anacronistico fare musica che ascolteresti solo tu nelle tue cuffie, che non ha un senso storico. La musica, come l’arte in genere, si adagia sui tempi che viviamo. Il grunge ha avuto il suo tempo, così come il brit pop. Comprendere cosa vuole la gente è di fondamentale importanza. Ma la seconda responsabilità, strettamente connessa alla prima, è verso se stessi. La musica, ribadisco, è arte, un prodotto dell’istinto e dell’inconscio. E’ figlia diretta dell’anima. Non si può dunque tradire la propria anima, ma ascoltare cosa ha dirti quando componi, quando scrivi un testo. E’ nel saper conciliare queste due responsabilità così opposte che risiede la vera sfida dell’artista. E credo ci si possa riuscire.

Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Non è colpa di nessuno, penso. Semplicemente i tempi sono mutati radicalmente. La rete ha innescato meccanismi differenti, stravolgendo il sistema di offerta e fruizione della musica. C’è tantissimo materiale da scovare e ascoltare, il ché è un elemento affascinante. Ma nel contempo, per un musicista, emergere è diventato ancora più difficile.

Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
L’informazione ha sempre cercato di educare il suo pubblico. Lo insegue per educarlo. E’ questo il meccanismo. Il controllo sulla gente parte anzitutto da un controllo di tipo mediatico. Il resto è solo una conseguenza.

La musica di Fab ci regala aria fresca e spazi aperti in un folk divenuto pop di stampo decisamente internazionale. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Ribadisco ciò che ho detto in precedenza, il segreto, è ascoltare sempre musica nuova, che sia contemporanea, che suoni innovativa e fresca. Se un musicista si tiene “aggiornato” ritengo che possa riuscire agevole contemperare le due esigenze di cui parlavo sopra, cioè comporre musica per se stessi e nel contempo per il pubblico.

In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Riuscire a ricordare esattamente le melodie che sogno durante la notte. E’, in realtà, il mio sogno più grande. La maggior parte, fin’ora, mi è sfuggita, è tornata là dov’era nata. Un gran peccato.

E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Direi di si. Non ho mai compreso perché questo meccanismo accada durante la notte, mi interrogo da sempre. Alle volte mi sveglio di soprassalto a cercare una penna o un telefono per registrare o scrivere qualcosa. Spesso invano. Ma quando ci sono riuscito è venuto fuori qualcosa di speciale. Sempre. Credo si tratti di un meccanismo ancestrale, o qualcosa di simile.

Finito il concerto di Fab: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
“Rebellion lies” degli Arcade Fire. Un finale perfetto.

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