LIVE+PHOTO REPORT: FESTIVAL BEAT PART II @ SALSOMAGGIORE [PR] – 01/07/17

Live report di Francesca Vantaggiato
Foto di Federico Zanotti

Il secondo giorno di Festival Beat parte con una gran risacca.

QUI SPIEGO PERCHÈ

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IMG-20170704-WA0086Ci svegliamo a mezzogiorno, saltando la colazione intercontinentale dell’albergo, cosa che non mi perdonerò mai e poi mai, perché una colazione in albergo non si rifiuta mai. Per fortuna, sembra che io e gli altri 2 compari di festival siamo diventati ricchi, quindi ci aspetta una chiusa pomeridiana di SPA 5 stelle. Dopo 5 ore di idromassaggio e varie tisane ayurvediche (gratis), possiamo dirci rigenerati e  pronti a qualcosa di più sostanzioso, tipo l’alcol. Alle 21 ci accorgiamo che è ora di prendere la nostra navetta direzione FESTIVAL! Stasera in cartellone: Reverend Beat-Man, Graham Day & the Forefathers5.6.7.8’s e gli americani The Gories. La serata si preannuncia certamente più soft e più beat di quella devastante di ieri, ma i nomi fanno ben sperare.

La fila per la navetta è interminabile, ci saranno almeno un centinaio di persone in religiosa coda (e tra loro trovo anche l’immancabile King Automatic!). Passa la prima ed è un pulmino del cavolo da 10 posti. Restiamo in fila e attendiamo, poi decidiamo di chiamare un taxi perché può succedere tutto, ma noi non perderemo l’apertura del reverendo! I taxi non esistono, torniamo in fila e accade un miracolo: la seconda navetta si ferma esattamente davanti a noi! Ci accalchiamo sul bus, ma non facciamo in tempo a poggiare i nostri culi fortunati sui sedili che la voce dell’autista arriva come un pugnale: dobbiamo scendere perché, oltre ai nostri sogni, si è infranto anche il parabrezza del pullman! Eh si, qualche anima ribelle ha rosicato per lo scherzetto dell’autista e ha lanciato una bottiglia contro il vetro e l’ha spaccato! Una bella crepa proprio nel mezzo. Siamo spacciati. Ormai abbiamo perso ogni speranza di arrivare in tempo quando ci viene l’illuminazione: ehi, ma noi abbiamo una macchina! Ce ne eravamo completamente dimenticati! Corriamo a prenderla, ci fermiamo davanti ai poveracci ancora in fila e carichiamo due tipi salvandogli il culo (uno dei quali pare abbia una band dal nome Savana Beat Club), poi sfrecciamo verso il festival ma, ahinoi, arriviamo che il reverendo ha già finito e sono sul palco Graham Day & the Forefathers.

Mentre gli altri vanno a fare rifornimento, io mi sdraio a lato del palco sull’erba fresca e me li godo da lì: un garage beat ballabile, molto piacevole, abbastanza pulito, che si gusta bene anche da sdraiata, il pubblico ha qualche decade in più rispetto a ieri e ancheggia compiaciuto. Mi accorgo di avere una fame allucinante. Andiamo verso il camioncino che frigge le polpette, ma poi gli altri mi lasciano lì e si spostano verso il palco, tanto li raggiungo a breve, perché tutto può succedere tranne che mi perda il secondo live di Reverend Beat-Man! E invece… la friggitrice s’è bloccata e io aspetto 20 lunghi, lunghissimi minuti le mie polpette, mentre da lontano mi arrivano le note del reverendo.  Ma come cazzo è possibile? Appena mi arrivano ste benedette polpette scatto fulminea verso il palco e riesco a beccarmi le ultime canzoni.

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Il reverendo è (naturalmente) vestito da prete e al suo fianco c’è una mora sensuale vestita da suora che gli tiene il tempo col rullante: è “suor” Nicole Garcia. I due insieme spaccano i timpani: la voce roca, graffiante, diabolica del reverendo ti scatena degli istinti primitivi, il suo garage blues schietto e rude è benzina sul fuoco, sembra Beefhert senza capelli. Quest’uomo è davvero il diavolo. Ed è anche simpatico quando s’impapera a parlare italiano: Noi non siamo orchestra con due, tre, quattro uomini… Siamo solo due… due uomini… no, non due uomini.. uno uomo e uno… e una bella figa!”. Purtroppo, salutiamo il reverendo che da galantuomo qual è lascia il posto alle giapponesi 5.6.7.8’s. Wooow non le ho mai viste, sono storiche, sarà un live da paura, me lo ricorderò per sempre, potrò dire IO C’ERO! Sale l’entusiasmo, soprattutto quando vedo che sono ancora tre belle donne, vestite benissimo, con abiti delicati, capelli cotonati, tacchetto sexy. Hanno portato con loro un’altra amica dal vestito scintillante che entra  a presentarle, peccato che non si capisca niente di quello che dice!

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Siamo tutti trepidanti, in attesa, ecco che stanno per cominciare… no, non ancora. C’è qualcosa che non quadra perché non stanno suonando ancora. Dopo un po’ iniziano e partono bene, divertenti, old style, precise. Peccato che poi tra un pezzo e l’altro si perdano, passano minuti interminabili, sembra sempre che inizino e invece no, poi quando riprendono sono smorte, senza verve, non di certo le 5678’s dei primi tempi, ma neanche di dieci anni fa! Mi sta scendendo il latte alle ginocchia e dico: Vabbé, poverine, saranno fuse dal jet lag Giappone Italia! Al che mi rispondono: Francé, ma se hanno suonato a Livorno pochi giorni fa! Che c’hanno il jet lag di Livorno?!?! Decidiamo di andare a bere un’altra birra. Facciamo in tempo a farci un giro al mercatino, ad ordinare e bere una birra, a farci venire fame, ad ordinare e mangiare una pizza e loro sono ancora lì che suonano. Ma quando finisce sto concerto e torna il reverendo?

Gli ultimi a salire sul palco sono i The Gories. Oh, loro si che spettinano! Mick Collins alla chitarra è un assassino, riffoni in pieno stile Detroit, tanto garage e tanto blues. Danny Kroha fa il simpatico ringraziandoci tutti di essere lì, nonostante il concerto di Vasco Rossi. Peggy O’Neill picchia duro con le sue bacchette. Solo una cosa non quadra: hanno mezza batteria! Ehi, ma dove avete messo il charleston e i piatti? Il problema è che i pezzi partono alla grande e ti coinvolgono, sei preso bene, ti fai trascinare dal groove… e poi avanti così fino alla fine, senza trovare un apice dove il rock esploda liberatorio. Grande tecnica, ma forse un piatto in più farebbe comodo.

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Finito il concerto, ci guardiamo in faccia: siamo un po’ amareggiati, ci aspettavamo qualcosa in più e su una cosa siamo certi: il reverendo non lo batte nessuno.

E per terminare la giornata di sfighe, metto la chiave nella portiera della macchina e mi si spacca in mano, letteralmente. Questi due giorni di delirio r’n’r non potevano che finire così, con la chiave della punto sgretolata in mano. Forse era un segno del destino che avremmo dovuto cogliere: non andarcene, restare per sempre lì, nel parco, ad aspettare l’anno prossimo, la 26° edizione del Festival Beat. Per scacciare la nostalgia, non ci restava che affogarla in fiumi di vino e chilate di cibo. Per fortuna, il giorno dopo, siamo finiti in una trattoria di tutto rispetto, il cui proprietario è un rockettaro d’altri tempi che sparava Led Zeppelin, Nirvana e Dire Straits dallo stereo e ci ha servito dell’ottima torta fritta: si chiama Le ville delle Antiche saline, fateci un salto.

E con questo è tutto: io e il mio colesterolo vi salutiamo e vi aspettiamo al prossimo Festival Beat di Salsomaggiore.

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