Intervista, Live + Photo report di
Prendi un giovedì torrido di luglio. Sole, mare, chalet Pepito beach Club, lido di Montesilvano, Pescara. In programmazione per la serata: Management del dolore post operatorio, open act Malaidra. Metti anche che riesci ad essere sul posto nel pomeriggio, con largo anticipo, tempo di un bagno e di una doccia, con il soundcheck di sottofondo e la possibilità, una volta terminato il lavoro sul suono, di intervistare Luca Romagnoli, frontman dei Management. Quando si avvicina in costume, occhiali da sole e camicia a fantasia diventa tutto più semplice. Una piacevole chiacchierata e non la solita intervista di circostanza.
Ciao Luca… vado con la prima domanda. È uscito il 10 marzo il vostro nuovo album, Un incubo stupendo. In che cosa si discosta dai precedenti, quali sono le differenze? Si alza gli occhiali da sole, Fammici pensare… Beh, innanzitutto per la prima volta ci siamo presi un anno sabbatico. Non l’avevamo mai fatto e i lavori precedenti sono nati, si sono sviluppati e sono stati registrati durante i vari tour, spostamenti, impegni. Questa volta siamo stati fermi per tutto il 2016. Come nostro solito, i testi sono i miei, Marco di Nardo (chitarrista) scrive le musiche e, stavolta, è anche produttore artistico dell’album. Fa una piccola pausa e aggiunge: Poi, le differenze ci sono perché siamo diversi noi. Siamo cresciuti. Tra i fans di una band c’è sempre la fazione estremista, talebana che non accetta il cambiamento! Ma non esiste, non è possibile! In questo disco sono cambiate le modalità di espressione, anche quando si tratta della rabbia. Si possono centrare i discorsi, ricorrere a meno provocazioni, non per forza avanzare con il coltello fra i denti, come in passato. È un disco meno spigoloso, ma questo non significa che sia meno pungente. È un arrivare alla pancia più diretto, più ragionato. Per quanto riguarda il tour estivo.. Che mi dici? Dove vi porterà? Risponde: Sono la persona sbagliata a cui rivolgere questa domanda” – e gira lo sguardo verso i suoi compagni di band, su un divanetto poco lontano – “Io salgo in macchina e vado! Però arriveremo ovunque. Da Trapani a Venaus, in provincia di Torino, per un festival collegato alle manifestazioni No Tav. Ti faccio l’ultima domanda, tanto poi unisco l’intervista al report. Ah, fai anche il report? Allora dobbiamo suonare concentrati – ride. Il futuro che cosa riserverà? Progetti, spostamenti, novità? Eeeehh il futuro. Domanda che crea sempre un po’ di scompenso. Già che sono ipocondriaco. Si guarda intorno per un secondo e riprende: Si fa presto in questo ambito a passare dalla cima al fondo…Che poi in cima… dobbiamo fare ancora tantissimo. Quella che provoca il futuro è un’ansia positiva. Lavorare sempre e comunque, perché l’ispirazione non arriva così, stando fermi e toh… arriva l’ispirazione… è, invece, una moltiplicazione di idee. Scriveremmo un album ogni tre mesi, per farti capire. Poi, il mercato musicale del nostro paese è strano, noi cantiamo in italiano… Spesso ci sono regole non scritte che costringono a uscire dalle scene per creare l’aspettativa di rinnovamento. Ma noi fatichiamo a stare giù dal palco. Noi vogliamo suonare, punto. Non ci importa del tormentone estivo, dei pezzi da classifica, dell’estathè. Noi continuiamo così. Quelle sono le parole che mi fanno capire che c’è ben poco da aggiungere. Solo un sorriso di ringraziamento, un Ci vediamo dopo per il concerto! e si torna agli ultimi sprazzi di vita da spiaggia. Sono le 23.
Si inizia. I Malaidra sono sul palco e il Pepito beach è tutto pronto. Ecco. I Malaidra. Chi sono? Da dove vengono? È una promettente band marchigiana formata da Dave Orlando (voce e chitarra), Dennis Zancocchia (chitarra), Diego Baldoni (basso), Simone Medori (batteria), Jacopo Ilari (tastiere), nata nel 2016, che si inserisce all’interno del panorama alternative rock/ post grunge italiano. Sonorità taglienti che, allo stesso tempo, coinvolgono. Catturano l’attenzione sia per le parti strumentali elaborate sia per l’impegno che dimostrano i testi: vita vissuta e raccontata, musica e parole che scavano in profondità. Il cantante interagisce con il pubblico – Questa canzone parla di una figura che cerca di rimanere in equilibrio su un filo, un personaggio speciale. Questa canzone si chiama Il funambolo – dice, introducendo la quinta della scaletta. Sono 30 minuti intensi, i ragazzi stanno sul pezzo, l’atmosfera si scalda. Chiudono con Perdere anche me, brano interpretato con grande emozione dalla voce graffiata, e graffiante, di Davide. È una bella novità questa dei Malaidra. Dicono, a fine live, che è quasi pronto il loro album di esordio e che uscirà ad ottobre. Li terremo sicuramente d’occhio.
Pochi attimi per assettare il palco in modalità Management. Chitarre, basso e batteria pronti. Arriva anche Luca. I fan sono letteralmente appiccicati al palco. Con Il mio corpo (dall’ultimo album Un incubo stupendo) si apre il concerto, in un continuo crescendo. Si salta, si balla, si cantano le canzoni a memoria. Il frontman, sui cavalli di battaglia, si lancia sul pubblico, viene trasportato di mano in mano. Non mancano i momenti di riflessione, collegati alle tematiche dei brani: Con le storie dei perdenti si fa poesia… e via con le prime note di Storie che finiscono male dal lavoro in studio I love you (2015). Tutto quello che avevo recepito dall’intervista è chiarissimo sul palco. I management del dolore post operatorio hanno un approccio più maturo, via via più completo. Non si rinuncia al divertimento, al godimento, a tutto ciò che è concreto e reale, ad Esagerare sempre. Non si rinuncia alla rabbia, alla denuncia sociale. Non si rinuncia alla consapevolezza che Il palco è una condanna, ed il palco è fatto di legno, come la croce di Cristo. Tuttavia c’è spazio per l’introspezione, personale e altrui. Come la storia raccontata in Naufrangando, la cui protagonista è una ragazza che si riconosce nella sua ombra, nel suo mistero interiore, scalfita soltanto dalla cattiveria delle persone. E qualche lacrima scesa qua e là lascia di nuovo il posto al sorriso più leggero e cinico, ai capelli al scossi al vento, all’energia di Pornobisogno, accompagnata immancabilmente dall’entrata in scena della bambola gonfiabile. Band e pubblico sono instancabili. Ci si continua a scatenare, ad appiccicare, a spingere, a sudare, fino alla fine, fino all’inno conclusivo di Lasciateci divertire.
Che posso dire… Io mi sono divertita un casino! È stata un’iniezione adrenalinica (e chi meglio dei Management per le iniezioni!). Picchi di disillusione misti alla volontà di credere ancora in qualcosa, in quello che viviamo ogni secondo, ma credere. Mentre scrivevo il report, mi sono ritrovata ad ascoltare a loop tutto il nuovo album. Vi lascio con alcuni versi della canzone Il vento. E non c’è miglior modo per concludere e racchiudere il tutto.
Ma fa lo stesso,
vale sempre la pena provarci
Infatti corro sempre con le braccia aperte perché
Sto aspettando il vento
Sto aspettando qualcosa di speciale
Mi sento come un fiume che vuole diventare mare.