Articolo di Fiamma Mozzetta
Illustrazione di Marianna Tini
Nel 1983 – l’anno di Speaking in Tongues dei Talking Heads e di Let’s Dance di David Bowie e l’anno in cui Battiato ballava al ritmo di La stagione dell’amore – esce Soul Mining: album d’esordio dei The The. In realtà un primissimo album c’era già stato nel 1981, ma fu inizialmente pubblicato sotto il nome di Matt Johnson, cantante e unico membro fisso negli anni, e solo nel 1993 ripubblicato a nome di tutta la band. Già nel 1977, infatti, Johnson aveva iniziato a cercare altri musicisti influenzati come lui dalla musica dei Velvet Underground, di Syd Barrett, dei Residents e dei Throbbing Gristle, mettendo anche diversi annunci sulla rivista inglese New Musical Express. Di lì a poco, ad affiancare Johnson ci sarà dunque Keith Laws al sintetizzatore, Peter ‘Triash’ Ashworth alla batteria, Tom Johnston al basso, e un’infinità di artisti che si susseguiranno dal ’77 ad oggi. Tra i tanti nomi che i The The possono vantare, che si tratti di musicisti ufficiali della band o di semplici collaborazioni in una traccia o più, ci sono il cantante dei Soft Cell, Marc Almond, Sinéad O’Connor, Danny Thompson dei Pentangle, il chitarrista degli Smiths, Johnny Marr, il batterista degli Orange Juice, Zeke Manyika, David Johansen dei New York Dools, e Jools Holland, pianista degli Squeeze e successivamente solista e presentatore TV.
Qualche anno fa, nel 2014, in occasione della ristampa di Soul Mining per il trentesimo anno dalla prima uscita, Alexis Petridis del Guardian descrive i The The come una delle band più significative ad emergere dall’Inghilterra post-punk e parla di Matt Johnson come di un artista eclettico quanto eccentrico. Il disco, oggi come allora, viene elogiato per la sua musicalità brillante e stravagante, mentre i The The vengono ricordati per la loro capacità nel far rispecchiare – sia tramite la musica che i testi – una personalità unica, ironica e ambigua. Ma, soprattutto, Petridis riflette su come quest’ultima ristampa sia riuscita a riportare a galla un disco influente per gli anni Ottanta e per quelli a venire, ma che purtroppo era finito nell’oblio.
Pubblicato per l’etichetta Some Bizare Records, Soul Mining è di fatto un album essenzialmente post-punk capace di raccogliere tutte le diverse influenze musicali della band e di tenerle saldamente insieme. La copertina è opera di Andy ‘Dog’ Johnson – fratello di Matt, fumettista e autore di diverse copertine di dischi – e ritrae una donna assorta nei suoi pensieri e nel piacere della sua sigaretta. Da I’ve been waitin’ for tomorrow (all of my life) a Giant, la prima e l’ultima canzone, il disco passa dai ritmi meccanici del sintetizzatore e dalla voce cupa di Johnson, a ritmi di musica dance più melodici, ripetitivi, complessi. Senza tralasciare vari richiami più pop dimostrati ad esempio dai toni familiari ma suggestivi dei testi pieni di dubbi esistenziali, di sorrisi incerti, di solitudine, di desideri fragili e sogni irraggiungibili, di un’attenta autocritica e di una profonda rabbia contro una società che piano piano sembra affondare nella sua stessa noncuranza. Dopo aver passato la notte in bianco, tra pensieri e ricordi, e dopo aver accolto il mattino al suono di una fisarmonica guardando un aeroplano volare tra il cielo azzurro, Johnson conclude:
“Ho intasato la mia mente con l’avidità perpetua e trasformato amici in nemici”
Quasi un mese fa, a inizio settembre, i The The hanno annunciato il primo tour di concerti dopo sedici anni di assenza: tre date a Londra ed una Egeskov Castle, in Danimarca. Inoltre, ad accompagnare le quattro date live, c’è un documentario – The Inertia Variations in uscita il 20 ottobre in Inghilterra – che esplora la carriera artistica di Matt Johnson e lo stato attuale dell’attivismo politico a livello globale. In arrivo c’è anche un cofanetto contenente diverso materiale, come interviste e fotografie esclusive, video, testi, poesie, e così ancora, strutturato in modo tematico in tre dischi.
Certamente, documentario e cofanetto richiamano la riflessione di Petridis sull’importanza della ristampa nel reintrodurre una band che fu influente, ma che oggi rimane piuttosto dimenticata. Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di come la cultura retrò e quella del vintage continuino a riciclare il passato musicale fino alla nausea e di come stiano prosciugando ogni goccia di creatività, originalità e spessore artistico, ma si parla sempre meno di come invece ristampe, documentari, cofanetti ed altri materiali divulgativi possano reintrodurre artisti che hanno avuto un ruolo importante nella storia della musica, ma dei quali si è persa ogni traccia nel tempo.
Guardarsi indietro, così come scavare appassionatamente nel passato, non dovrebbe essere considerato un peso nostalgico che ci priva di novità, ma come una pratica che ci permette di accedere ad un repertorio sempre più vasto della musica tra artisti dimenticati, o spesso ignorati. Chissà quanti dischi come Soul Mining ci sono lì fuori in attesa di essere riscoperti.