Intervista di Gianluca Clerici
La letteratura e il cinema, l’America prima di tutto, di italiano poco e niente. Un disco difficile da digerire per l’ampio spettro di contenuti che forse avrebbero richiesto strumenti di più alto profilo. Edoardo Pasteur gioca a fare il Cohen italiano: un poco gli riesce, un poco ha tanto da fare ancora. Un disco d’esordio oggi che all’età della maturazione umana non ha troppa carriera artistica alle spalle e si sente… ed è quindi meraviglioso il gioco dell’ingenuità che spesso oggi dimentichiamo cosa sia… unica arma che ancora ci fa restare bambini e ci fa imprimere in un’opera la vera forza della fantasia. Le risposte di Pasteur alle consuete domande di Just Kids Society
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Buona domanda! Credo che chi si mette a fare musica in un certo modo, come espressione artistica, voglia raccontare le proprie storie, ciò che ha dentro, e non faccia troppi calcoli sul dopo, se farne un lavoro. Almeno questo è il mio caso. Ho iniziato a scrivere musica con lo stesso spirito di chi passa un weekend sul fiume dipingendo un acquerello, con tavolozza e colori, pensando poi di appendere il suo quadretto in cucina… Che poi questo frutto della sua fatica rimanga appeso in cucina o vada a ruba in una galleria d’arte, beh questa è un’altra storia, ma l’approccio iniziale dovrebbe essere lo stesso! Diversamente si tratterebbe di un’operazione di marketing, con una strategia di partenza che indirizza l’artista nella direzione gradita al mercato. Con tutto il rispetto per il marketing…
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Metterei al primo posto, in questa non nobile classifica, la crisi culturale. Figlia di decenni di rimbambimento televisivo. Così come non si ha tempo né voglia di leggere un libro, si è perso il gusto di stare a sentire un disco, come facevamo da ragazzi, con l’amore per ogni sfumatura di un’opera d’arte. O di leggere le liriche sul libretto… Ora tutto brucia in fretta e qualsiasi approfondimento è guardato con sospetto. A tale appiattimento culturale si affianca, ovvio, un mercato che è completamente cambiato, che non fa altro che assecondare la pigrizia intellettuale di chi ascolta musica come se masticasse un chewing gum. Peccato!
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
La seconda che hai detto! Proprio come in politica! Rispetto la necessità di vendere il proprio prodotto – parlavamo di marketing … – , ma osservo il venir meno da parte dell’informazione a una delle sue missioni, quella di educare il proprio pubblico. Credo che l’abbrutimento culturale delle masse dipenda anche da queste contraddizioni…
La musica di Edoardo Pasteur riflette un pensiero intimo e quel viaggio dentro se stessi. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Resisto! Una delle critiche che mi vengono mosse è ad esempio l’eccessiva lunghezza dei miei pezzi rispetto ai canoni del mercato, che imporrebbe i soliti tre minuti per stare dentro ai rigidi schemi delle radio, della pubblicità e via dicendo. Credo che un’espressione artistica non debba soggiacere alle esigenze di un tubetto di dentifricio… E credo anche che il viaggio interiore cui fai giustamente riferimento debba essere raccontato con onestà e senza soggiacere a vincoli esterni. Un altro esempio è il fatto che scrivo i miei pezzi in inglese, precludendo a molti la comprensione di quanto vado a raccontare. So che è un problema, e c’è chi giustamente osserva che cantare in italiano renderebbe le cose più facili, ma… così sono venute!
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Difficoltà… difficoltà… non saprei, vivo questo mestiere (che mestiere non è!) con grande entusiasmo… Veder nascere un’ispirazione, farle prendere corpo e piano piano, attraverso un processo faticoso, portarla a compimento e sentirla poi sul proprio disco è un’esperienza fantastica, molto appagante. Naturalmente esistono le frustrazioni, ci piacerebbe fare ascoltare le nostre storie al mondo intero, non per motivi commerciali ma proprio perché un cantastorie desidera una piazza gremita… Ma per carattere cerco di vedere le cose con ottimismo, e credo anche che tutti noi alla fine otteniamo quanto meritiamo, in tutti i campi della vita, come al termine di un campionato di calcio, dove – di solito… – vince il migliore! PS naturalmente so che non è vero, ma credo che questo sia l’atteggiamento giusto…
Finito il concerto di Edoardo Pasteur: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Allora, l’anno scorso ero a Wembley per il concerto di Bruce Springsteen, e nonostante ritenga di avere la pelle dura quando il Boss ha cantato The River non ho potuto trattenere la commozione, per tutto quello che quel pezzo ha significato per me, per la mia formazione umana (prima ancora che musicale). Grande Bruce, dal vivo è capace di trasmettere una magia che chi non ha vissuto l’esperienza di un suo concerto non può comprendere. Quindi si, la mia colonna sonora sarebbe The River!