Recensione di Gustavo Tagliaferri
Un incantesimo che, non appena compiuto, già mostra ectoplasmatici segnali di ulteriori future sorprese. Forse più un sortilegio che un incantesimo, qualcosa destinato a durare in eterno secondo un intento più demoniaco che paradisiaco, se non situato nel mezzo. Il Purgatorio in musica. Forse è questa l’ideale summa che caratterizza certi gruppi i cui singoli componenti, ciascuno recante le proprie influenze ed il proprio stile, tra un graduale cambio di formazione e continue variazioni stilistiche, non agiscono mai per se stessi ma seguendo una logica collettiva nel reale senso del termine. E’ sicuramente il caso degli Obake, nucleo che ruota attorno ad Eraldo Bernocchi (Sigillum S, Ashes, di recente Blackwood) e LEF, al secolo Lorenzo Esposito Fornasari (Berserk!), e le cui nuove entrate, nientemeno che Colin Edwin (Porcupine Tree) e Jacopo Pierazzuoli (MoRkObOt) subentrati rispettivamente e cronologicamente a Massimo Pupillo e Balasz Pandi tanto nel precedente “Mutations” quanto in questo “Draugr”, finiscono per dare ulteriore lustro ad una ricerca sonora che è fatta di metal, ma anche di progressive rock, di intuizioni jazzate, di ricerca vocale, di necessità di non accontentarsi del “bel canto” per come viene convenzionalmente definito al giorno d’oggi. “Draugr”, in quanto terzo album in studio, prosegue il proprio tragitto mostrando una formazione mai fine a se stessa, dove il tocco di ciascun elemento passa dall’avere primaria voce in capitolo ad amalgamarsi adeguatamente con la composizione risultante, a cominciare da quel Lorenzo Esposito Fornasari che è probabilmente uno dei pochi cantanti italiani dotati di una duttilità da non poco conto, in grado di passare da una resa vocale pulita particolarmente memore di Maynard James Keenan ad un irrobustimento di questa tendente al thrash, la cui immersione in un contesto tenebroso e grave pur non giungendo al growl porta l’artista a prodigarsi in narrazioni funeree, la cui cupezza sembra quasi rispondere allo sprechgesang tipico di Tricky (!!!) e della sua Bristol, e si vedano per ciò proprio i due brani introduttivi, Cold Facts, una composizione a matrioska, le cui molteplici sfaccettature non esitano ad emergere, soprattutto l’apertura death, ed Incineration Of Sorrows, un coacervo di riffs di chitarra e cambi di tempo che va di pari passo con le fasi di un rituale lisergico e mistico. Di Tool e simili vive buona parte del disco, ma non solo, considerando il resto dei brani: Bernocchi, con le sue chitarre, propone dilatazioni heavy che feriscono, squartano, affondano, sono tutt’uno con il rituale stesso, quasi a favorire la presenza di quel fantasma tanto invocato (Appeasing The Apparition) e rifugge ogni mera illusione in ambito di doom, lasciandogli campo libero nel corso dell’esperienza alla base di Cloud Of Liars, favorita da un groove accattivante, dinamico e coinvolgente al punto giusto, del quale Pierazzuoli è risaputo sia un degnissimo rappresentante, oltre che sotteso su una continuazione di natura dreamy; Edwin non risulta da meno nel maneggiare il suo basso e dimostra di non essere un esponente concentrato su tecnicismi fine a se stessi, come dimostrano, tra le chitarre avviluppate dello stesso Bernocchi, The Augur, in un crescendo visionario sicuramente uno dei momenti di maggiore spicco. Chiudono il cerchio, quasi in antitesi, il germe grindcore che si equilibra tra partenze spezzaossa, di evidente marcatura nel corso della noiseggiante e virulenta Immutable, e parentesi eteree nel cui corso si raggiunge un definitivo spaesamento elettronico, vedesi Hellfaced, Serving The Alibi, un possibile esperimento di forma canzone mutilata attraverso un avvincente excursus heavy, e la titletrack, definitivo raggiungimento dello zenith, una struggente esperienza acustica rivestita di un’ossatura ambient ed a sua volta ulteriormente amplificata dall’ottimo lavoro compiuto da Leon Switch con il remix che funge da traccia addizionale, fatto di ritmi cadenzati, drum’n bass, e richiami dark. “Draugr” fa la figura di un pesce fuor d’acqua basandosi sulla situazione principalmente italiana, ed è meglio così, poichè la lezione degli Obake non cede a provincialismi, modalità già diffuse altrove o codardia tipica della massa, ma segue una continua evoluzione di genere per la quale il gradimento e la necessità sono massimi. Un obiettivo portato nuovamente a compimento.
Obake – Draugr
(RareNoise Records, 2016)
1. Cold Facts
2. Incineration Of Sorrows
3. Hellfaced
4. The Augur
5. Appeasing The Apparition
6. Serving The Alibi
7. Cloud Of Liars
8. Immutable
9. Draugr
10. Draugr (Leon Switch Remix)