Recensione di Gustavo Tagliaferri
Uomini di mondo, a voler sintetizzare il tutto. Uomini di mondo che trascendono dalla romanità dichiarata all’anagrafe.
Uomini di mondo provenienti da scuole differenti, ma forse neanche tanto, che si tratti di rock, punk oppure new wave, proprio perché la loro diversità costituisce un punto di forza come di congiunzione attraverso il quale dare vita ad una nuova esperienza. Emiliano Tortora, Sandro Di Canio e Fabrizio Mazzuccato, i tre componenti dei The Hand, sono a tutti gli effetti degli uomini di mondo, lontani dal volersi appoggiare a stilemi già esistenti e prossimi a creare possibili sinergie che vedano come diretti protagonisti sia sintetizzatori che strumenti a corde, in un pot-pourri che già di per sé desta molto fascino al primo ascolto, senza rivelarsi affatto una banale chimera: il nucleo di questo Three is a crowd, loro album d’esordio, è l’ecletticità e quando si tratta di passare all’atto pratico ogni singolo componente gioca il proprio ruolo con fedeltà ed al contempo mantiene uno spirito collettivo di iniziativa, come dimostrano lo spazio che viene dato ad ideali dicotomie sonore, che abbiano a che fare con il kraut di scuola Neu! così come con il post-punk, ed è il caso di Lust Is Love, oppure con il lato maledetto dell’America, fatto di conseguenti divagazioni à la Suicide, situate alla base di una Perceive dal tocco interstellare, che a loro volta risultano in bilico su un filo conduttore che porta anche all’ubriachezza di Lower, animata da un songwriting tipicamente british, tra Stone Roses e Primal Scream, e dall’abnorme componente psichedelica che pare persino celare in chiusura un lieve accenno di blues rurale, come ad istantanee maggiormente intime e melodiche, dalle sommesse note di natura shoegaze della cadenzata Devil’s Eyes alle ninne nanne tanto soavi quanto dilatate, proprio per questo prossime, dopo evidenti richiami a certi Cure, a giungere a graditissime chiose noise, su beats incessanti e tirati, che rispondano o meno al nome di Vodkatronic, senza per questo escludere i Kraftwerk maggiormente rilassati, si pensi a Europe Endless oppure a Neon Lights, se non, a voler azzardare, il Peter Gabriel di Biko, la cui impronta lascia il segno quando si tratta di lasciarsi accarezzare dai ritmi di Home, così come quando si tratta di sentire il richiamo delle proprie origini e non si oppone resistenza alcuna, ed è il caso di Screw my head, che suona pienamente rock’n’roll, con tanto di influssi glam.
Ma un caso a parte sono probabilmente i due brani che strizzano l’occhio alle piste da ballo, una The Commissioner che, pur con la sua indole rock, sa di cut and paste tra espedienti 80’s e proto-pop se non addirittura di parti di un immaginario ludico ed altrettanto retrò, nella fattispecie quello legato all’universo dei videogiochi, e soprattutto Holy War, lapalissiano esempio di come si possa meticolosamente concepire un mix tra crossover, electro e gli espedienti wave di cui sopra, dando luogo ad un singolo che, visto il grande stile che emana, fungerebbe molto volentieri oggigiorno da anti-tormentone killer. Mai stagnanti, sempre in continuo movimento, proprio per questo incapaci di deludere: i The Hand, con un simile esordio, dimostrano di avere tutte le carte in regola e quindi di fare la differenza là dove c’è il timore di apparire troppo simili a sé stessi nel dare vita a situazioni di vario tipo in Italia. Recuperare Three is a crowd, alla luce di ciò, risulta più che consigliato, se non obbligatorio.
The Hand – Three Is A Crowd
(Goodfellas, 2017)
1. Lust Is Love
2. Perceive
3. Holy War
4. Screw My Head
5. Devil’s Eyes
6. The Commissioner
7. Lower
8. Home
9. Vodkatronic