Intervista di Gianluca Clerici
Come dire che il video inchioda allo schermo per la bellezza di lei. Ma come dire anche che i cliché della nicchia R’n’B sono a pieno rispettati. E trovo anche quel certo retrogusto per il popolo basso che avevi chiare come immagini nei suoni anni ’90. E poi quel pattern registrato, quelle citazioni di stile, quel certo modo di conversare una lingua che ormai è figlia dei pochi. Il soul digitale, rigorosamente nero d’origine, il Trap fin troppo italianizzato, l’R’n’B che ormai è di tutti. Le consuete domande di Just Kids Society per scoprire il punto di vista di Kaput Blue:
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
La musica nasce da se stessi, racconta principalmente di se stessi ed è finalizzata assolutamente a creare lavoro. Produrre musica costa, e tanto. Promuoversi e sudare costa tanto in termini sia economici che psico-fisici. Sfiderei a trovare quell’artista che lo fa solo ed esclusivamente per se stesso. La musica è arte e come tale va ripagata, è destinata ad altri e spera sempre di essere apprezzata.
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Per fortuna abbiamo visto passare tempi peggiori! Ma certo, è difficile. La colpa non è di nessuno; penso che il mondo musicale sia tanto vasto da dare, in momenti diversi, molto ad un genere/servizio musicale e meno ad un altro e poi così avanti, ad alternarsi. Penso che grazie all’avvento di Spotify, Apple Music e perché no, anche YouTube, gli ascoltatori abbiano a propria disposizione così tanto (quasi) gratuitamente che è una cosa positiva ma, a volte, anche da non si sa più scegliere perdendo il gusto della scoperta, il gusto del togliere la pellicola dal disco fisico e scoprire traccia dopo traccia con l’odore del disco nuovo.
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
L’informazione è influente, molto. Ergo, mi sento di dire che mediamente una persona tende a seguire il pensiero del giornalista che tratta un determinato argomento in un determinato modo. Ci sono invece gruppi di persone che agiscono in una maniera tanto diversa da smuovere l’informazione e, seppur le idee siano di matrice positiva o negativa, creano rumore e smuovono i giornali.
La musica di Kaput Blue elabora e trasforma l’R’n’B in scritture private e personali. La contaminazione è il primo grande ingrediente. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
“FAR” non si arrende al mercato, in quanto in realtà, il mercato punta a roba scritta in italiano. Diciamo che è una sfida, riportare l’RnB (seppur con qualche modifica stilistica) in Italia è una bella storia.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
La vera grande difficoltà è farsi sentire, arrivare ai giornali, alle radio grandi e soprattutto spingere l’ascoltatore a mettersi su le cuffie e ad ascoltare. La promozione è fondamentale ed è tutto.
E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Non si risolve, ogni artista deve rimboccarsi le maniche e spingersi nel creare bei contatti.
Finito il concerto di Kaput Blue: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Bella domanda! Non saprei… è probabile che la gente che ascolta Kaput Blue gradirebbe The Weeknd, Kendrik Lamar, Drake e perché no, Rihanna dopo il suo concerto.