“SOTTO LO STESSO FRAGILE CIELO”
(Via delle Azalee n. 7)
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Daniele
TERZA e ULTIMA PARTE
(la madre di tutte le cose)
Barbara Antonelli/Valeri era stata buona fino a quel momento, ma ora cominciava ad agitarsi. Tony non sapeva cosa fare, non poteva nascondere a lungo la ragazza e non voleva rischiare che l’ispettore capo oppure i colleghi stronzi di Daniele entrassero, scoprissero tutto e concludessero l’interrogatorio prendendosi il merito della soluzione del caso.
Il cellulare di Daniele era ancora irraggiungibile però Tony aveva il numero di casa, cioè quello della madre, perché da quando aveva divorziato era tornato a vivere con i suoi, come tutti i separati, poveracci. La mamma di Daniele gli disse che suo figlio aveva accompagnato Mirko a calcio e gli diede l’indirizzo del posto. Un amico della squadra volante, che doveva un favore a Tony, andò a prendere l’Ispettore.
Mentre Mirko era sotto la doccia, da solo perché ormai era grande, Daniele riaccese il telefono e trovò le chiamate e il messaggio di Tony. Non fu necessario leggere il messaggio perché quando vide l’agente della volante che gli andava incontro Daniele capì che doveva rientrare in fretta. Il suo cervello nelle condizioni di emergenza funzionava meglio. Si avvicinò allo spogliatoio e disse a suo figlio che se voleva cogliere la meravigliosa opportunità di fare un giro sulla volante a sirene spiegate doveva uscire di lì in meno di 2 minuti. Il cervello di Mirko funzionava esattamente come quello del padre e un minuto dopo era fuori, con i capelli bagnati.
In Commissariato Mirko fu affidato all’agente scelto Angela Santucci, addetta al rilascio dei passaporti, che conquistò il bambino con un succo di frutta alla pesca e un pacchetto di patatine.
Tony, che stava aspettando Daniele fuori della porta del suo ufficio, in pochi secondi lo ragguagliò e gli consegnò il verbale della scientifica.
Quando Daniele vide Barbara, interpretò la sobrietà dell’abbigliamento, probabilmente scelto con cura per l’occasione, la compostezza e l’espressione del viso come l’atteggiamento di chi pensa di aver assolto a un compito ingrato, una cosa che qualcuno doveva pur fare.
Stava per cominciare ad interrogare la ragazza quando arrivò il fax con il referto del medico legale. Daniele lo lesse ad alta voce, perché voleva vedere la reazione di Barbara. Omise la parte riguardante le generalità e le caratteristiche fisiche dell’uomo, il luogo e l’ora del delitto, e passò direttamente alle cause della morte.
“La vittima presenta fratture del cranio nella parte frontale e parietale destra, con parziale interessamento dello sfenoide e dello zigomo, probabilmente causate da un corpo contundente metallico con contorni taglienti, tipo attrezzo da lavoro o similare. Si riscontrano nove ferite da arma da taglio inferte verosimilmente con un grosso coltello da cucina. Due, molto profonde, hanno raggiunto il polmone destro, due il rene destro, tre il polmone sinistro, due più superficiali, hanno colpito la colonna vertebrale tra la 5 e la quarta vertebra nel tratto lombo-sacrale. La morte è stata causata dalle ferite da arma da taglio che hanno provocato emorragia interna e collasso di entrambi i polmoni.”
La ragazza sembrò risvegliarsi dal suo torpore, come se tornasse da un luogo lontano.
“Ferite da taglio? Coltello? Io non ho usato un coltello, l’ho colpito alla testa con un piccolo piccone, si chiama maleppeggio, è un attrezzo edile. Lui è caduto e ha sbattuto contro un sasso, oppure era uno scalino, non sono sicura”.
“Dove ha nascosto il piccone? Che ne ha fatto?”
“L’ho gettato nel Tevere, non ricordo precisamente dove, ho camminato tanto, dopo, tutta la notte”.
“Mi vuol dire che lei è uscita dalle cantine, con un piccone in mano, sporco di sangue e ha camminato sul lungotevere di Roma come se niente fosse per ore? Ci è andata a piedi o aveva l’automobile?”
“L’ho coperto con il mio soprabito. Ho camminato tanto. Sono stanca, la prego mi porti via”.
“Come ha conosciuto Luca Messeri? Si è servita di lui per uccidere suo padre? È stato suo complice? Ha usato lui il coltello? Perché lo ha ucciso?”.
“Luca non c’entra. Quale coltello? Ho già detto perché. Sono stanca, la prego mi porti via”.
Lei non sarebbe mai tornata a Roma, per nessun motivo, ma quel corso presso il Ministero era obbligatorio per il completamento dei suoi studi. Nella sua deposizione Barbara raccontò di aver conosciuto Luca due mesi prima in un Pub, come aveva detto Luca. Quel ragazzo le piaceva, ma non pensava di instaurare con lui una relazione seria, a corso ultimato sarebbe sparita dalla sua vita, anche se, ultimamente, si era resa conto che si stava innamorando di lui, e questa era una complicazione. Poi aveva scoperto che nella stessa palazzina di Luca abitava suo padre, che era riuscita a tenere lontano dalla sua vita per nove anni. Quando suo padre la chiamò per chiederle un incontro, aveva accettato solo perché temeva che altrimenti si sarebbe rivolto a Luca per rintracciarla e lei non voleva che Luca sapesse. Nessuno doveva sapere del suo passato, aveva fatto tanto per cancellare quella cosa. Voleva convincerlo a non rivelare Luca la sua identità, e sarebbe finita lì se lui non gli avesse detto che… che aveva trovato un’altra bambina. “Non volevo che rovinasse la vita di un’altra bambina. Vi prego, portatemi via”.
Pietro guadava il telegiornale mentre Wanda preparava la cena. Ogni tanto faceva commenti ai quali solitamente la moglie interveniva, per annuire o dissentire, ma quella sera Wanda non diceva niente, tanto che Pietro le chiese cosa avesse, se si sentiva male. Lei rispose che aveva mal di testa, che avrebbe cenato e sarebbe andata a letto presto, forse aveva un po’ di febbre.
Al telegiornale stavano dicendo che avevano risolto il mistero dell’omicidio di via delle Azalee. Era stata la figlia della vittima ma il movente ancora non era stato chiarito. Per una volta, un caso semplice, l’assassina si era costituita nel pomeriggio.
Pietro saltò sulla sedia. “La figlia? Ma tu lo sapevi che aveva una figlia? E perché l’avrebbe ucciso? Wanda, ma hai capito che cosa è successo, vabbè che non stai bene, ma dico, la cosa non ti sconvolge?” Certo che era sconvolta, eccome se lo era.
La cena quella sera fu condita dai commenti di Pietro che non si dava pace per quella storia. Poi si offrì di lavare i piatti e salutò con un bacio Wanda, che andò a letto quasi subito. “Proprio non sta bene. Domani chiamo il medico”.
Quella sera Daniele, nonostante i pensieri che aveva per la testa, accontentò suo figlio rispondendo a tutte le domande che gli fece sul suo lavoro. Mirko era tutto eccitato per il pomeriggio trascorso al Commissariato e Daniele voleva mantenere fede ai suoi propositi di dedicarsi di più ai suoi doveri di padre, che poi erano meno gravosi di quello che aveva sempre creduto. “Chissà quando mi ricapiterà di averlo tutto per me per giorni e giorni. Devo imparare a trovare il tempo per tutto, a guardare le cose con un’ottica diversa, a dare più valore a momenti come questo”, pensava. “Oddio, sta a vedere che la veggente ha ragione, che le cose che contano sono lì, davanti a noi, solo che noi non le vediamo”.
Il cellulare di Daniele squillò, era Giulia. “Si, ciao. No, tranquilla, sono a casa, stiamo cenando. Non fare l’ironica, non nevica. Si, tutto a posto, ti passo Mirko, ciao.” Mirko raccontava alla madre che il papà l’aveva accompagnato a calcio e che poi erano stati sulla macchina della volante, e poi al commissariato. Rideva, chissà cosa gli stava dicendo sua madre. “È stronza”, pensò Daniele con convinzione, “ma con Mirko non parla mai male di me”. Aprì il portatile e si mise a lavorare un po’.
Barbara non aveva agito da sola. Sia il medico legale che gli agenti della scientifica concordavano sul fatto che le ferite erano state prodotte con modalità che facevano pensare a due persone diverse. Per questo Daniele aveva creduto che Luca potesse essere coinvolto, ma la ragazza l’aveva scagionato in modo categorico, e poi Luca aveva un alibi di ferro. L’indomani l’avrebbe interrogata nuovamente e forse, messa alle strette, Barbara avrebbe confessato di avere un complice. Daniele pensava che la ragazza, in fondo, non voleva altro che quella storia finisse presto. Barbara aveva bisogno di trovare la pace.
Era proprio quello che Barbara, nella sua cella, diceva a sé stessa. Dopo tanti anni, ora poteva sentirsi in pace, anche se aveva dovuto uccidere per arrivare a questo. Forse la strada per arrivare in un luogo dove il passato non ti perseguiti più, dove dimenticare, può passare anche attraverso un gesto ancora più brutale e doloroso del ricordo stesso. Lo sperava Barbara, sperava tanto che quello che aveva fatto potesse servire, a lei e a alle altre.
Le venne in mente Eraclito: “La guerra è madre di tutte le cose e di tutte regina; e gli uni rende dei, gli altri uomini, gli uni fa schiavi, gli altri liberi”. Era in una cella, eppure si sentiva finalmente libera.
Andrea ripensava a quello che aveva detto Elisa e ora anche lui vedeva il prof. Antonelli come una specie di fauno, mezzo uomo e mezzo animale. Ma perché si lasciava influenzare così! Quel poveraccio era stato ammazzato. È vero, aveva un’amante, anche se nessuno lo avrebbe mai creduto possibile, ma questo non faceva di lui un mostro schifoso. Allora perché quello che Elisa aveva detto lo turbava così tanto? Gli tornò alla mente l’episodio delle scale – lo aveva anche raccontato all’ispettore – quando incontrò il professore che saliva trafelato e sudato. Adesso che ci pensava, aveva la stessa espressione di quella volta in giardino, e gli tornò in mente un particolare. Giù in fondo alle scale, vicino alla rampa che porta alle cantine, c’era la figlia dei signori Sogliano. L’aveva appena intravista e aveva pensato che stesse andando nella guardiola di Wanda. Una bambina! Oh, Signore!
Mirko aveva voluto dormine nel letto con suo padre e lui l’aveva accontentato volentieri, ma questo di certo non giovò alla qualità del sonno di Daniele, già piuttosto agitato dai mille pensieri che affollavano la sua mente.
Quando Daniele arrivò in Commissariato avrebbe voluto avere il tempo di prendere un caffè, ma nel suo ufficio Elisa Marchetti e Andrea Bertoli lo stavano già aspettando.
I due vicini di casa erano eccitatissimi, credevano di aver capito una cosa importante e terribile. Forse il prof. Antonelli era un pedofilo, forse molestava la bambina dei Sogliano. Era un’accusa grave, ma con una grande possibilità che fosse fondata, pensò Daniele.
L’indagine stava diventando molto delicata, quando c’erano di mezzo i bambini e la loro salute mentale, bisognava procedere con i piedi di piombo.
Per impedire che i due condomini facessero casini, Daniele disse che le loro supposizioni erano troppo vaghe e che dovevano evitare di parlarne in giro, per non inquinare le indagini. Comunque ne avrebbe tenuto conto. Li ringraziò e li liquidò.
Wanda aveva sempre creduto che fosse stata l’amante del professore ad uccidere, sembrava logico. L’aveva sentita dire “piuttosto ti ammazzo!”. A furia di pensare e ripensare a quella notte in cantina, dopo l’insistenza dell’ispettore, ritrovò nella memoria qualche frammento della loro conversazione. Parlavano a bassa voce, perciò non capiva bene quello che dicevano, non tutte le parole, però lui disse qualcosa come “un’altra bambina, ho trovato un’altra bambina”. Ma che voleva dire?
Nel letto di spine Wanda si girava e rigirava e Pietro pensava che fosse la febbre che non le dava tregua. Invece lei cercava di mettere insieme tutti i suoi pensieri per dare loro un senso compiuto.
In quegli ultimi giorni aveva notato la piccola Sogliano che scendeva in cantina ma non le era sembrato strano, era lì che teneva la sua bici e i giocattoli più ingombranti. Strano, invece, era stato vedere il professore che scendeva in cantina, lui che la cantina non l’aveva, ma da quando aveva scoperto “quella cosa” sapeva che cosa ci andava a fare. Da giorni pensava di affrontarlo per dirgli che quello schifo doveva finire, tanto più che le cantine erano frequentate anche dai bambini, ma non aveva ancora trovato il coraggio, era molto imbarazzante! Ora che si era scoperto che era stata la figlia ad ammazzarlo, ora che aveva ricordato quella frase… non ci capiva più niente! Perché mai lo aveva ucciso quella benedetta figlia?
Daniele cercava di calmare la sua ex moglie che, al telefono, era inviperita. “Sei il solito incosciente, ma come hai potuto farlo uscire dallo spogliatoio con la testa bagnata? Quanto ha di febbre? Hai chiamato il dottore? Gli hai dato la tachipirina? Diglielo tu a tua madre che deve dargliela ogni quattro ore perché io con lei non ci voglio nemmeno parlare, tanto ti difende sempre!”
Appena gli riuscì di zittirla, dopo averla rassicurata e dopo essersi cosparso il capo di cenere, prendendosi tutta la responsabilità per quello che era successo, Daniele fece un bel respiro, chiamò Tony e gli disse di accompagnarlo da Barbara.
Barbara aveva trascorso la seconda notte più lunga della sua vita. La prima era stata la notte precedente, durante la quale aveva preso coscienza di quello che aveva fatto, senza però pentirsi.
La seconda notte la passò a chiedersi come aveva potuto pensare di farla franca, credere che avrebbe potuto andarsene, scomparire senza lasciare tracce.
Dopo aver saputo direttamente e spudoratamente da suo padre che un’altra bambina stava subendo la stessa sorte che era toccata a lei, aveva deciso che non poteva permettere che accadesse ancora. Interrompere quella cosa significava salvare la bambina, ma anche cancellare in qualche modo quello che era successo a lei. Aveva escluso subito la possibilità di denunciarlo, perché temeva che un processo avrebbe solo gettato quella povera bambina in pasto ai giornali, danneggiandola ulteriormente, con il rischio che il mostro potesse anche cavarsela, in mancanza di prove. L’unica soluzione era fermarlo per sempre, a qualunque costo. Era disposta anche ad uccidere, sacrificandosi. Si convinse ripetendo a sé stessa che il sacrificio, nella simbologia biblica, rappresenta il perdono e la purificazione che discendono dall’alto come dono di Dio. Siccome lei non era Gesù il Salvatore, pensò anche che forse se la sarebbe cavata, se era fortunata. Si aggrappò a questa labile speranza e lo fece.
Chiamò suo padre, gli diede un appuntamento e lui accettò felice. Gli chiese di farle trovare aperto il cancello posteriore del giardino, di aprire dall’interno il portoncino d’ingresso delle cantine e di farsi trovare lì. Gli disse di cancellare dal telefono quella conversazione e le due precedenti che avevano avuto, facendogli credere che si trattava di una accortezza da “amanti”. Aveva portato con sé quell’attrezzo edile, che aveva visto il giorno prima vicino casa sua, nel cantiere dei lavori di ristrutturazione di un negozio. Lo aveva prelevato pensando che era proprio quello che ci voleva.
Credeva che sarebbe stata più forte, più determinata, che la motivazione che l’aveva spinta l’avrebbe sostenuta fino in fondo e invece, quando lo vide a terra, con tutto quel sangue intorno, il terrore s’impossessò di lei e si sentì così piccola, così indifesa, ancora una volta vittima di quel mostro. Scappò, camminò, pianse, pregò, e alla fine capì che non poteva andare da nessuna parte, che non poteva più nascondersi, non questa volta.
Anna Sogliano restò a letto per un giorno interno, ma il giorno dopo stava meglio. Accompagnò i suoi figli a scuola e poi, invece di andare al lavoro, come faceva sempre, tornò a casa. Si fermò qualche secondo davanti al portone, per prendere coraggio, e poi entrò. Wanda era in guardiola e quando la vide capì subito. “Ti devo parlare” disse Anna.
Negli ultimi tempi Anna aveva notato che sua figlia era strana, più taciturna del solito. Aveva sempre cercato di nascondere ai bambini il fatto che il marito la picchiava, ma l’episodio recente che aveva portato la polizia in casa, era diventato di dominio pubblico e forse la piccola Sara era spaventata per questo. Le aveva parlato, cercando di spiegarle che suo padre non era cattivo e che si sarebbe fatto curare, avrebbe imparato a controllare la sua rabbia. Lei non aveva niente da temere, né per sé né per la mamma. Sicuramente era questo, ma non voleva escludere che ci potessero essere altre ragioni per il suo comportamento, si sentiva tanto parlare di bullismo in giro, perciò l’avrebbe sorvegliata. Quando Sara chiese di andare a giocare in giardino, Anna la seguì giù per le scale, cercando di non farsi accorgere. Incontrò e salutò con un certo imbarazzo il prof. Antonelli che stava fermo al piano terra, forse preoccupato perché l’ascensore era ancora rotto. Da quando Wanda le aveva raccontato che Antonelli aveva un’amante e che s’incontravano in cantina, la considerazione che aveva per quell’uomo era caduta miseramente. Cavolo! Adesso che ci pensava, forse la bambina li aveva visti! Fece di corsa il corridoio delle cantine per vedere se ci fosse un’estranea laggiù, ma non c’era nessuno, e dal portoncino vide sua figlia che giocava serenamente con la sua Barbi all’ombra del salice. Era tutto a posto, chissà perché si era agitata per niente. Decise però di interrogare la bambina per scoprire se aveva visto qualcosa di scabroso.
Con mille cautele, fingendo di giocare, rassicurandola, che non c’era niente da temere, che qualunque cosa avesse detto la mamma non si sarebbe arrabbiata, vennero fuori cose che forse la piccola non vedeva l’ora di dire, per togliersi quel peso. Anna dovette andare in bagno di corsa a vomitare e poi si tappò la bocca con l’asciugamani per non gridare.
“Tutto a posto, tutto a posto” disse alla bambina “non è successo niente, ora ci pensa la mamma ad aggiustare tutto”. Le disse di andare a finire i compiti promettendole che più tardi l’avrebbe portata al cinema e poi andò a suonare alla porta di Flavio Antonelli, Professore di Lettere e Filosofia. Prima però passò in cucina a prendere il coltello più grosso e più lungo che aveva.
A casa il professore non c’era e così Anna si appostò sul pianerottolo in attesa che tornasse, con il coltello nascosto sotto il giacchino. Dopo pochi minuti sentì il portone d’ingresso che si apriva. Anna si affacciò sulla tromba delle scale e vide che era proprio Antonelli solo che, anziché salire verso il suo appartamento, scendeva verso le cantine. Anna si precipitò giù e raggiunse il corridoio delle cantine giusto in tempo per sentire una voce che diceva “Adesso non potrai più fare del male a nessuno”.
Nella penombra vide il corpo del professore a terra e vide anche la figura di una persona che si allontanava dall’uscita posteriore, una donna, la sua amante, sicuramente.
Si avvicinò e vide che era stato colpito alla testa, oppure aveva sbattuto contro quella sporgenza del muro, non ne era certa, ma non era morto, si lamentava, chiedeva aiuto. Non ebbe esitazioni Anna, lo colpì, lo colpì, lo colpì…
“Daranno la colpa a lei, la troveranno e daranno la colpa all’amante. Devo solo fare finta che non sia mai accaduto”. Pensò che sarebbe andata proprio così. Ora doveva nascondere il coltello, non poteva riportarlo a casa. C’era un piccolo armadio con il necessario per le pulizie delle scale, laggiù. Prese il prodotto che le sembrava più adatto e pulì per bene il coltello, poi si guardò attorno per scegliere il nascondiglio. Non voleva compromettere nessuno, voleva solo salvarsi, perciò alla fine lo gettò nel tombino di scarico delle acque piovane, attraverso la griglia. Sapeva che lo avrebbero trovato prima o poi, ma era impossibile che potessero risalire a lei.
Quando Wanda vide Anna Sogliano davanti alla sua porta che le diceva “Ti devo parlare” capì tutto. Quasi tutto.
Capì che la bambina era la figlia di Anna e che Anna lo aveva scoperto. Quello che non poteva capire, e neanche immaginare, era che Anna aveva completato l’opera che la figlia del professore aveva cominciato. Quello che non poteva immaginare era quello che Anna le stava per dire.
“L’ho ammazzato io. Ho scoperto che… non riesco neanche a dirlo…” e scoppiò a piangere.
Wanda aveva capito benissimo, la fece entrare in casa e l’ascoltò. Un fiume in piena, una valanga, uno tsunami di lacrime e detriti, di rottami, di rovine, accumulati da troppi anni, fu lo sfogo di Anna, che per tanto tempo aveva soffocato il dolore per una felicità negata, per i sogni spezzati, per le speranze tradite. Lei avrebbe anche potuto continuare a vivere così per sempre, senza desiderare più nulla per sé, ma sua figlia no, sua figlia non doveva essere toccata. Sua figlia doveva crescere con la certezza che nessuno poteva toccarla impunemente.
Aveva cancellato le sue tracce, nessuno l’aveva vista e forse nessuno l’avrebbe scoperta. Forse. Ma quell’ispettore sarebbe tornato, le avrebbe fatto un sacco di domande e lei non era sicura che sarebbe stata in grado di sostenere in modo convincente la sua menzogna. Non era sicura di voler vivere con un altro macigno sul cuore. Il suo cuore non ne poteva più.
“Promettimi che ti occuperai dei miei figli”.
Wanda promise e l’accompagnò al Commissariato.
F I N E