Intervista di Gianluca Clerici
Un benvenuto a Tommaso Talarico che solo oggi decide di dare voce e forma a canzoni che nel “tempo distante” ha scritto e concepito. Un disco intitolato “Viandanti. Canzoni da un tempo distante”. Forme di esistenza, scritture di cantautore, trame diella una terra natale e di una adottive, di amori alle rive del mare e di quel mare che fa quasi paura. Canzoni che poi parlano di questa società, delle finzioni e delle maschere, di questo eterno teatro dell’assurdo (aggiungerei io) e di come “Alice” e le sue favole siano in fondo pane quotidiano di ognuno di noi. C’è da chiedersi quale sia davvero la realtà. Le consuete domande di Just Kids Society a Tommaso Talarico.
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Per quanto mi riguarda le canzoni nascono da un’esigenza espressiva, indipendentemente da tutto. Non credo a questa dicotomia netta, fare musica per lavoro o per se stessi.Non credo che un autore, scriva solo per se stesso, ma che nel profondo immagini sempre di avere un pubblico, di cui inconsciamente tiene conto, non solo nella fase compositiva, ma in quella di arrangiamento per esempio, in cui si fanno scelte che puntano a evidenziare e sottolineare delle cose anziché altre. E’ importante la sincerità, poi ad alcuni capiterà di fare musica per lavoro,ad altri no.
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Mah…..trovo ozioso cercare delle colpe qui e lì. Piuttosto, in generale, in Italia si legge poco, la musica che si ascolta è per la maggior parte quella che trasmette la radio, mentre invece un livello culturale elevato, e parlo in senso ampio, consente di fare delle scelte, di acquistare un libro e non un altro, un disco e non un altro. Poi in realtà credo ci sia spazio per tutto. Gli strumenti oggi sono a nostra disposizione, credo nella responsabilità individuale.
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Un pò uno e un pò l’altro, non saprei dire in che misura, davvero.
La musica di Tommaso Talarico risolvere i grandi classici nel design rimescolando la proprio personalità in una canzone d’autore ricca di immagini e di sogni. In qualche modo si arrende al mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Non ho mai pensato minimamente al mercato. Se avessi voluto strizzare l’occhio alle mode avrei inserito elettronica furbetta qui e lì giusto per, e infarcito i testi di tachipirine e pruriti vari. Mi interessa riuscire a raccontare un pezzo di mondo, anche in relazione a me stesso, al posto che io occupo. A volte le canzoni mi servono per capire cosa penso davvero, cosa provo davvero.Mi semplificano in un certo senso. Mi limito a sperare che gli altri le ascoltino con attenzione e le comprendano. Che le cantino, magari.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Riuscire a farsi ascoltare appunto. Ma non voglio che questa affermazione dia l’impressione di un patetico vittimismo. E’ proprio una questione numerica. Oggi l’offerta musicale è enorme, ben superiore alla domanda. Credo che la difficoltà maggiore sia questa.
E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Certo che no. Bisognerebbe avere sempre qualcosa da dire, e trovare il modo giusto per farlo. saper innovare, saper cambiare. Non è semplice.
Finito il concerto di Tommaso Talarico: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
Dipende dal contesto, e dal periodo anche. Ci stiamo avvicinando all’autunno, diciamo “I Hope That I Don’t Fall In Love With You” di Tom Waits. Una canzone che adoro.