Intervista di Gianluca Clerici
Un disco importante a parer nostro questo ultimo pubblicato da OLDEN. Un disco che ripercorre la storia e restituisce voce a brani che non hanno avuto il successo mediatico tanto meritato… ed è grazie a questo disco che vede la produzione artistica di Flavio Ferri che si ha modo di riscoprire e ripensare anche al concetto di “successo”, oltre ad avere modo di intercettare grandi canzoni del passato che non conoscevamo. Olden pubblica “A60” ripercorrendo, a modo suo, capolavori pubblicati in Italia negli anni ’60 e poco conosciuti. E la personalità di un artista che poi sa come far proprie anche scritture di altri. Un ascolto davvero interessante… come non rivolgergli le consuete domande di Just Kids Society?
Fare musica per lavoro o per se stessi. Tutti puntiamo il dito alle seconda ma poi tutti vorremmo che diventasse anche la prima. Secondo te qual è il confine che divide le due facce di questa medaglia?
Non credo ci sia un confine, se fare musica significa esprimersi con autenticità e coraggio. Certo, c’è bisogno di un pubblico che ti stia a sentire. Per cui direi “fare musica come lavoro, per sé stessi e attraverso gli altri”.
Crisi del disco e crisi culturale. A chi daresti la colpa? Al pubblico, al mercato, alle radio o ai magazine?
Non credo si possa parlare di colpa, si tratta semplicemente del tempo che passa e del mondo che cambia; io ascoltavo le cassette (specialmente degli anni’60), ora sono scomparse. Dobbiamo adeguarci, adattarci alle cose che cambiano; il problema casomai è un altro, e molto più pratico: le piattaforme che offrono servizio di streaming potrebbero essere più gentili e generose con gli artisti… 😊
Tornando al discorso di prima: se vogliamo che la musica sia un lavoro, c’è pure bisogno di un riconoscimento economico adeguato e purtroppo molto spesso non è così.
Secondo te l’informazione insegue il pubblico oppure è l’informazione che cerca in qualche modo di educare il suo pubblico?
Ultimamente credo che si stia esagerando un po’ nel “dare alla gente quello che vuole”, evitando il rischio, andando sul sicuro. Forse il pubblico (parlo soprattutto i più giovani) dovrebbe essere educati un po’ meglio all’ascolto. C’è tanta musica bella in giro, ed è un peccato che rimanga nascosta.
Un nuovo disco di Olden, grandi omaggi ma anche personalissime rivisitazioni. In qualche modo si arrende alle leggi e alle mode del mercato oppure cerca altrove un senso? E dove?
Non credo di aver cavalcato mode particolari o aver seguito leggi di mercato, anzi! Dietro a questo album c’è stato un grande lavoro di distruzione e ricostruzione, cercando nuovi linguaggi, nuovi suoni; l’idea, e quindi il “senso” di questo progetto era quello di rendere contemporanei dei brani così lontani dai giorni nostri, seguendo l’istinto ed il proprio gusto personale. Insieme a Flavio Ferri, che ha prodotto il disco, abbiamo lavorato davvero con una grande attenzione per i dettagli, senza lasciare nulla al caso e spesso stravolgendo le versioni originali per trovare un linguaggio nuovo e personale.
In poche parole…di getto anzi…la prima cosa che ti viene in mente: la vera grande difficoltà di questo mestiere?
Avere un giusto riconoscimento per quello che si fa, non solo economico ma a volte anche sociale, culturale, in un certo senso.
E se avessi modo di risolvere questo problema, pensi che basti?
Per quanto mi riguarda credo proprio di si, mi accontento di poco, in fondo 😊
Finito il concerto di Olden: secondo te il fonico, per salutare il pubblico, che musica di sottofondo dovrebbe mandare?
“A Day in the Life” – The Beatles.