Intervista di Gianluca Clerici
Nuova stagione per la nostra rubirca Just Kids Society. Le diamo il benvenuto con nuove domande e battezziamo questo percorso con l’esordio di Simone Tangolo e Beppe Salmetti ovvero degli Impermeabili. Ovvia citazione a Paolo Conte ma anche un rimando a quel genere un po’ canzone e un po’ teatro che permea tutto il disco dei due cantautori e attori. E quindi, accantonato il taglio sfacciatamente indie come nel caso del singolo di lancio dal bellissimo video clip “La canzone esistenzialista”, il resto di questo lavoro dal titolo “Non ci siamo per nessuno” (Ramo – Artist First) è un groviglio di ironia e modi circensi dove torna viva quell’eleganza italiana di fare un po’ musica in frac. Eleganza ma anche ingenuo istinto creativo. Ecco le nuove domande di Just Kids Society:
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
C’è un verso meraviglioso di Montale che riassume alla perfezione la risposta a queste domande (e a tante altre…) che nel finale dice così: ” […] codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.”
Difficile dire cosa stia succedendo proprio perché siamo nel pieno di una transizione e ci vorrà ancora un po’ per capire. Nella nostra musica cerchiamo quindi di fare quello che sentiamo più giusto per il pubblico di oggi e nel modo più onesto possibile. Tutto quello che succede intorno, dentro e fuori non lo sappiamo. Sappiamo, appunto, solo quello che non siamo e che non vogliamo.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
Forse nel pubblico, appunto. Non per fare quello che piace al pubblico, nel senso di omologarsi o di accontentare i gusti, ma per ascoltare. Il paradosso è che chi suona e canta deve principalmente saper fare il contrario, cioè ascoltare.
Ciò ti permette di capire cosa sta cambiando non nei gusti, che rimangono sempre soggettivi, ma nella società che influenzerà il mio ascolto e quindi mi darà una nuova chiave di lettura.
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
Non si insegue nessuno, si sta in un cerchio. Noi veniamo dal teatro che anticamente, appunto, aveva forma di semicerchio. E sappiamo che se quando reciti non ascolti i tuoi compagni di scena e insieme non ascoltate il pubblico, non si va da nessuna parte. Fare musica per sé o per il pubblico è la stessa cosa, forse.
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
Queste sono domande marzulliane! Spiacenti ma ne risponderemo solo davanti a lui!
Dietro questo lavoro si nasconde l’eclettico punto di vista di due circensi dell’anima, attori ma anche musicisti. E il repento cambio di genere ne è una testimonianza. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?
La vita e le persone sono una delle cose più strane ed intriganti di sempre. Non si finirà mai di parlarne abbastanza ed in modo esaustivo. Ci piace variare come variano le persone: oggi blues, domani rumba, dopodomani…
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
Lo spettacolo dal vivo, in tutte le sue forme, è la cosa più bella che possa esserci. Si tratta solo di lavorare sodo per riportare la gente negli spazi comuni come teatri, librerie, piazze ecc ecc. Fa parte del nostro DNA come la paura del buio. I giovanissimi non lo sanno più perché viviamo un periodo di transizione, come si diceva prima, ma appena ricevono un’esperienza di sana collettività ne tornano entusiasti ed arricchiti. Sono cose da riscoprire, tutto qui. Certo in questo i social non aiutano e ti isolano. Hanno nel nome “sociale” tutto il loro contrario, sono un paradosso a tutti gli effetti…
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?
Le incontra sempre. Se le tiene a distanza forse è perché fa schifo il gruppo… allora bisogna fare meglio…!
E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto degli Impermeabili, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Gli Impermeabili di Paolo Conte, ovviamente