Intervista di Gianluca Clerici
L’esordio discografico di MATTIA lascia un gusto dolce e personale al palato e allo spirito dopo aver assorbito e assimilato questa miscela pop industriale dai cliché assai comuni. Eppure, appunto, sorprende di personalità e spiritualità l’ascolto. Si intitola “Labirinti umani” il primo lavoro di canzoni personali che tessono un filo sottile a parlare di società e di rapporti interpersonali. Ed è così che il cantautore modenese sfugge dai numeri pari inserendo 9 tracce inedite in questo suo primo lavoro in cui si mescolano con mestiere e cura il pop main stream alle derive elettro-pop / dance meno scontate. Grandi radici d’arte in famiglia, grande attenzione per questo mestiere… grande cura verso se stessi. A lui, al suo esordio, rivolgiamo le consuete domande di Just Kids Society:
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
Sono pienamente d’accordo. Parliamo poco di musica e ascoltiamo solo ciò che ci propinano.. tant’è che viviamo in mondo spesso incapace di discernere criticamente la buona musica, le belle voci, i bravi cantanti… Questa carenza di cultura e d’informazione andrebbe colmata con un educazione all’ascolto, nelle scuole ma soprattutto in famiglia… E’ la casa in cui cresci i tuoi primi anni che ti forma musicalmente… Ricordo che quando ero piccolo mia sorella mi faceva ascoltare tutti i suoi dischi… ma che dico, le mitiche MUSICASSETTE!!!
oggigiorno è sempre più difficile condividere musica… respiriamo una vita frenetica, abbiamo poco tempo per rilassarci, non compriamo più supporti fisici, le librerie di casa sono sempre più vuote quando una volta a riempirle erano dischi, cassette, film, libri….
Non penso che stiamo perdendo del tutto ogni valore e linguaggio della cultura musicale ma senz’altro ce ne stiamo allontanando… e assistiamo ad un appiattimento generale della cultura in cui pochi portano avanti i propri interessi E questo è un peccato perché il nostro sta diventando sempre più un ascolto passivo.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
Il disco nasce da un bisogno di esprimersi a prescindere da qualsiasi logica.
Ritengo che i suoi punti di forza siano le melodie efficaci unitamente a dei testi veri, che raccontano storie ed emozioni genuine.
Penso che l’originalità risieda nell’incontro tra melodie orecchiabili e persuasive unitamente testi veri e non scontati il tutto costruito attorno ad arrangiamenti moderni, elettronici, sicuramente più attuali. Penso che il progetto musicale possa quasi essere una sintesi tra passato e futuro, tra suoni moderni ed attuali ricuciti addosso a canzoni più tradizionali. E forse questo è un qualcosa di personale ma non tocca a me dirlo Io ho seguito semplicemente il mio istinto e l ho fatto per me stesso più che per l’appartenenza a un sistema.
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
Per se stessi tutta la vita. Sono anni che scrivo canzoni. Per tanto tempo l’ho tenuto nascosto ma andavo avanti, semplicemente perché mi faceva stare bene. L’essere umano ha bisogno di creare… la creatività è un ingrediente imprescindibile, ti fa sentire vivo. Diversamente sarebbe come dormire senza sognare! A tutti piace sognare la notte…. Per me è così e se lo faccio è per me stesso. Poi certo, se riesci ad emozionare un pubblico allora hai fatto centro! E’ importante ma non può essere il punto di partenza… o non ci sarebbe spontaneità o verità….
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
Non mi crederai ma io sono un po’ anomalo. Sono molto timido e il mio più grande sogno è quello di fare l’autore per grandi interpreti. Non amo molto i riflettori e non seguo certamente questo. Naturalmente se vuoi condividere il lavoro per cui hai speso fatiche, soldi, energie, un minimo di public relation devi farle! Ma personalmente io odio i social e odio pavoneggiarmela. Lo faccio? Un pochino si, ma più che rincorsa della popolarità è un informare i miei conoscenti stretti di come evolve la mia vita, di ciò che produco, quello che faccio, perché in fondo spero sempre di emozionare qualcuno.
Io non sono pratico di social e ti rubano tanto tempo. Preferivo i tempi in cui non esistevano certe dinamiche. E nella canzone a chiusura album, “Nella mischia” affronto proprio la tematica di questa crisi di valori. È un brano provocatorio in cui evidenzio come le persone oggigiorno tendano a prediligere l’ostentazione, relazioni fittizie, le maschere con cui apparire a scapito dell’essere semplicemente sé stessi.
Canzone pop d’autore, di quel taglio digitale e di quella nostalgia dei primi anni 2000. Una voce sottile quella di MATTIA che ricorda la leggerezza di Alex Baroni o il dolce progredire delle solitudini di Niccolò Fabi. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?
Il punti di vista sono estremamente diversi di canzone in canzone.
Parlo certamente di vita di tutti i giorni ma anche di altro. Penso che il lavoro parta da un introspezione personale e da un bisogno di comunicare e far emergere un pensiero. Una delle canzoni più importanti che ho scritto è “Diana”, un brano che narra la vera vita di una donna guerriera. Perché ha combattuto mille battaglie, ha perso un figlio che si è suicidato, ha vissuto in una famiglia in cui la droga le ha portato tanta sofferenza. Ha avuto un marito non proprio esemplare… ha lavorato e sudato rialzandosi sempre in piedi nonostante in quel piccolo paese bigotto in cui è cresciuta e rimasta tutta la vita era additata come la “sfortunata” o la “disgraziata”. Tutti la conoscevano.
Questa è stata la vita di mia nonna paterna, donna che ha trasformato queste battaglie in amore, in forza e coraggio, la prima donna che mi abbia fatto sentire amato. Quale il punto di vista in questa storia? Certo non una vita da tutti i giorni. Così ho voluto raccontarla anzitutto per renderle onore… Ma anche perché tutte le donne che hanno avuto una vita difficile come la sua potessero immedesimarsi nelle parole del testo e sentirsi meno sole, meno diverse, più forti. Delle guerriere che meritano di camminare a testa alta una spanna sopra tutti.
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
Non penso esista buona o cattiva musica. La musica piace o non piace, è una questione di gusti ed i generi sono tutti diversi.
Per esempio io vengo da una famiglia di cantanti lirici ma non amo particolarmente l’opera. Però i teatri sono pieni e in Italia abbiamo un eredità culturale in questo campo che fa invidia a tutto il mondo.
Se viviamo meno certe esperienze come andare a teatro o a un concerto probabilmente è anche frutto di una cultura nuova, in cui tutto ci arriva a casa impacchettato e ci ritroviamo più pigri nel mettere il naso fuori dalle 4 mura.
Le canzoni le ascolti in streaming. Le cene ti arrivano con le mille app di food delivery. Gli amici li senti sui social. Il cinema arriva direttamente nelle pay tv… E i risparmi delle famiglie sono sempre più rosicati. È inevitabile ritrovarsi pian piano sempre più chiusi in se stessi e meno propensi al mondo esterno. Ma non farei di tutta l’erba un fascio ecco.
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?
Non posso dirlo io. Personalmente penso che ascoltato possa incontrare molte persone. Ci sono brani in cui ci si può rispecchiare di più e altri di meno. E credo che al di la del testo, senz’altro importante, per incontrare le persone devi prima arrivare all’orecchio con una melodia vincente anche al di la delle parole. In questo credo di aver fatto un buon lavoro. Ma ribadisco, non devo essere io a dirlo!
Molte radio hanno passato i miei brani. Diverse persone mi hanno scritto e hanno apprezzato il mio lavoro. C’è chi ha usato una canzone per saggi di danza, chi le ha inserite nel video del matrimonio…. Chi le usa in palestra nel riscaldamento, chi le ha imparate a memoria e si è commosso…. E molte di queste persone erano sconosciute!
Quindi mi sento di dire che se c’è la curiosità di ascoltare il mio album potrebbe certamente arrivare. Non certo a tutti. Ma a molti si! 😉
E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di MATTIA, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Skunk anansie skunk anansie skunk anansie… Sono i miei artisti preferiti e credo abbiano fatto un pezzo di storia della musica. A un mio concerto vorrei loro in chiusura. E potessi scegliere la canzone opterei senz’altro per “Secretly” dal loro terzo album del 99!
Ma visto che vorrò bene al fonico gli do un’alternativa: anche gli yeah yeah yeahs con “Maps” o “Gold lion” vanno bene!