Intervista di Gianluca Clerici
Un esordio assoluto, quello del cantautore veronese Filippo Villa che al primo colpo è riuscito nell’impresa di essere tra i protagonisti del Premio De Andrè 2018. Con il suo album “Storielle dispari” composto da canzoni dal sound semplice e da testi che ricordano molto i cantastorie di un tempo, Filippo ci porta in una dimensione di sogni, illusioni, delusioni e immedesimazioni. Se gli album raccontano dell’animo dell’artista, possiamo dedurre che nell’animo di Filippo Villa ci sia una nobile sensibilità che lo porta ad essere influenzato dalla realtà e dal sogno che sbatte su di essa.
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Come è stato percepito il tuo album alla sua uscita?
Ho gestito l’esordio in modo molto particolare, nel silenzio generale: ho sempre tenuto nascosta la mia passione per la scrittura di canzoni: per mia scelta perfino alcuni amici ignoravano che io fossi un autore da molto tempo. Volevo fare questa cosa per bene. Quindi ho pubblicato l’album nel silenzio generale, provvedendo personalmente a farlo conoscere attraverso alcuni live e un po’ di promozione sui social.
L’album è stato percepito per quello che è: un esordio a sorpresa, tuttavia progettato e pensato a lungo. Il primo live è stato bellissimo: conoscevo tutti e cento i presenti, infatti li ho fotografati dal palco. Un’esperienza indimenticabile.
Nelle canzoni del tuo “Storielle dispari” c’è tanta realtà e di sogni che non trovano spazio nella vita reale.
Possiamo dire che canti di una società che tende ad uccidere il sogno?
Secondo me c’è spazio per tutto e tutti: i sogni fanno parte della nostra vita e tutti siamo in grado di viverli. Siamo solo bombardati di informazioni e diventa difficile orientarsi. Credo sia compito degli artisti aiutare a ritrovare la strada. Tutto sommato non è difficile.
Negli ultimi mesi hai presentato l’album in un evento che hai chiamato “concerto piccino picciò”. Possiamo dire meglio far ascoltare ad un pubblico di poche persone ma coinvolte che ad una platea enorme e distratta?
Dipende dal tipo di canzoni: nel mio caso la vicinanza aiuta a costruire una bella atmosfera. Mi piacciono tanto i concertini con venti-trenta persone. Finisce che dialoghiamo, facciamo salotto.
Siamo nell’era della visibilità a scapito della qualità. Cosa pensi di questo effimero obiettivo e dove ti collochi con la tua musica?
Non cerco visibilità a tutti i costi. Ho fiducia nelle canzoni. Mi è capitato di essere fermato dopo i concertini e ricevere riscontri personali, umani e diretti. In questo contesto i numeri stanno a zero. Quindi faccio il possibile per far conoscere la mia musica, tuttavia senza perderci il sonno. Le canzoni sono di chi ascolta, come i libri sono di chi legge. Non pretendo di insegnare qualcosa: racconto storie. Ho fiducia che arrivino a chi le sa ascoltare, indipendentemente dalla piattaforma.
Restando sul tema, quale deve essere per te la funzione di una canzone?
Semplicemente: comunicare. Volare, YMCA e Highway to hell sono universi con potenzialità enormi e pari dignità.
Qual è l’obiettivo, come funzione verso gli ascoltatori, delle tue canzoni?
La cosa che mi interessa di più è ricevere riscontri: non per forza un complimento o una pacca sulla spalla ma una reazione dall’essere umano che ho di fronte. Ricevo più di quello che esprimo. Una cosa bellissima.
Quali saranno i tuoi prossimi passi?
Sto preparando il secondo album. Scriverò e pubblicherò ancora; proverò altri suoni e altri stili. Ho appena cominciato a giocare e intendo continuare ancora a lungo.