Intervista di Gianluca Clerici
Un esordio metropolitano che quasi ci riporta ai nostri anni adolescenziali, i novanta, quelli che non erano fatti di grandi città ma solo di province rivoluzionarie. E la giovanissima Cecilia Spinelli, alias MEZZAVERA, per la verità è di una grande città come Roma e il suo è un suono digitale. E cosa c’entra dunque? Perché in fondo l’anima e lo spirito di questo esordio dal titolo “Vizi capitali” ci riporta inevitabilmente a quelle sensazioni che avevamo quando la vita scorreva tra le pagine di un diario, tra le strade del nostro quartiere, nella vita di tutti i giorni… per quanto questo suono sia figlio del futuro internazionale. A lei le consuete domande di Just Kids Society:
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
Negli ultimi vent’anni il mondo è cambiato in maniera radicale; credo sia normale che in un momento storico come questo non ci si ritrovi più, ci si stia perdendo nella molteplicità di informazioni e di stimoli a cui siamo sottoposti ogni giorno. Spero e credo che arriverà un momento in cui riusciremo a stabilizzarci e reinserirci sui giusti binari.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
Mi sento di dire che con questo disco ho cercato di dare uno spaccato della mia quotidianità e di conseguenza la mia personalità è quella che poi emerge fra le righe dei miei testi. Io non penso di aver ricercato l’appartenenza al sistema, semplicemente ne faccio parte come ognuno di noi; a quel punto è inevitabile che il sistema ogni tanto si prenda gioca di noi, impugni la penna e si sieda al pianoforte. Bisogna solo lasciarglielo fare a piccole dosi.
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
Fare musica è per se stessi, sempre. Vendere e cercare di farsi conoscere è per gli altri.
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
Questa domanda va a toccare un argomento molto delicato per me. Purtroppo non riesco facilmente a fare i conti con i tempi che corrono; mi piacerebbe poter vivere in un’era in cui i social non facciano una buona parte del successo e in cui per affermarsi basta cantare su un palco, in una piazza, a un mercato e piacere per quello che si è. E se così non fosse, se non dovessi piacere, va bene lo stesso. Mi sembra che ad oggi per poter fare successo ci sia il bisogno di uscire totalmente allo scoperto, privandosi di una propria intimità, di inventarsi una formula diversa che possa dare visibilità, rischiando di cadere, come dicevi tu, nell’apparire piuttosto che nell’essere. Io personalmente cerco di muovermi a testa bassa, evitando di cascare in certi giochi, in certe dinamiche che con il tempo rischiano di renderti schiavo. Io, in maniera che forse riterrai banale, mi sento di appartenere a quella categoria di persone che scrive per necessità. Scrivere è il mio modo di mettere a fuoco; mi è capitato spessissimo di riuscire a capirmi, ad interpretarmi e avere più nitida una situazione rileggendo un testo scritto di getto alle 4 del mattino.
Un esordio scuro, digitale, metropolitano. Un lavoro popolare che non cerca la distanza… piuttosto cerca il quotidiano di ognuno di noi. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?
Come ti dicevo prima questo album è per me uno spaccato della mia quotidianità. Assolutamente. Una quotidianità che odora di città, di traffico, di amore, di sigarette un po’ come me. Non cerco la distanza; non mi definirei distante dai tempi che corrono e non credo nella musica forzata; ho scritto quello che mi è uscito, senza pensarci troppo.
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
La colpa sta da entrambe le parti. Ormai è molto più semplice farsi conoscere virtualmente, piuttosto che andando in giro per i localetti delle città. Ormai troppo spesso capita che una canzone registrata sia molto meglio di una canzone live ed è normale allora che il pubblico preferisca sparsi le sue canzoni preferite in macchina piuttosto che andare ad ascoltare un’artista che live non gli piace neanche tanto. Questo è un problema molto grande. Io credo che il mondo musicale dovrebbe funzionare al contrario, prima bisognerebbe ascoltare live e poi ascoltare su disco. Io personalmente cerco di andare in giro a suonare e preferirei che se qualcuno dovesse ascoltarmi la prima volta lo facesse live; nonostante le imperfezione, penso non sia paragonabile l’aria che si respira.
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?
Io credo che le incontri, ci si mischi e ci faccia l’amore.
E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di Mezzavera, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
“Disperato Erotico Stomp” di Lucio Dalla