Intervista di Gianluca Clerici
Quando le trame urbane del rap e dell’R’n’B incontrano la canzone d’autore. E lui, in merito, ha tanto nel sangue. Figlio d’arte (Stefano Rosso), ma grandissima personalità indipendente, JESTO ha da sempre segnato grandissimi passaggi e portato a segno importanti target di carriera con le sue scritture dissacranti e trasgressive. La realtà quotidiana, il sociale, ma anche le ambizioni e gli eccessi. Il suo rap oggi incontra la chitarra acustica di Andrea Tarquini e le sue liriche si fanno istintive, adagiate con coerenza e credibilità su melodie “pop” che spesso trasudano l’ispirazione del momento. Persino questo VIDEO ufficiale richiama molto quelle origini dylaniane che inevitabilmente ci riportano dentro il DNA della canzone d’autore. E in questa miscela così lontana dalle sue scritture abituali, ha avuto la capacità di non snaturare se stesso e la sua penna. Ascoltando “IndieJesto” si ha netta la sensazione di una trasformazione inedita di un artista che non smette mai di stupirci.
Sarà bello ospitarti anche nella nostra rubrica sociale… ma per ora facciamo indijestione di questo disco. E non ci sono dolori di stomaco ma moti di aria fresca che da la carica. Eppure sento molta nostalgia, molta resa (in senso di prendere consapevolezza) nel tono della tua lirica… sbaglio? Una mia impressione…
La mia poetica è sempre in bilico tra ironia e malinconia, come la mia vita del resto.
Questa peculiarità l’ho ereditata da mio padre, anche nei suoi testi non si sa mai dove finisce la commedia e dove inizia la tragedia. Questo stare in bilico, sia liricalmente che esistenzialmente, mi rende così produttivo, ho quest’esigenza di creare viscerale, è una necessità. Ritengo che l’arte sia la miglior cura, o almeno la migliore per me. Se non scrivo canzoni , disegno. Ho sempre qualche opera di cui prendermi cura: è così da quando ero bambino e sarà per sempre così. Per questo amo stare solo con me stesso, nel mio mondo e non conosco la noia. Ho sempre qualcosa di creativo da fare.
Ecco resterei proprio su questo tema perché in genere, anche a fronte di testi molto pungenti e decisi, il tuo modo di cantarceli non è mai stato aggressivo. Sei d’accordo?
“Ragazzo dolce, mondo amaro” dicevo in una canzone. Combatto sto mondo usando la poesia, è la forma più alta di lotta, per come la vedo io, perché è culturale.
Ho un modo di fare musica assolutamente inconscio, è come se l’ispirazione mi venisse da un altra dimensione. Io mi sento come un tramite tra questa dimensione, in cui aleggiano le idee, e il mondo reale. Il mio lavoro è di tradurre queste idee in canzoni, in disegni, in ogni possibile forma espressiva che mi vada di utilizzare.
Mi sento come un jazzista, non solo delle parole ma proprio della vita. La mia vita è una jam session continua, e vado dove mi porta l’ispirazione.
“IndieJesto”: posso azzardarmi a vederlo come il precursore di una nuova forma di canzone d’autore? Quando il Rap e l’hip-hop (o la trap) incontrano il vestito di un cantautore acustico armato di chitarra. Cosa ne pensi?
Non sta a me dirlo, ovviamente, ma il sapore di questo album porta nella direzione da te descritta. Non ho mai amato la suddivisone in generi musicali, ma è innegabile che sono sempre stato un rapper e sono figlio di un cantautore. La fusone di queste esperienze mi ha portato a questa nuova versione di me. Andando avanti, sento sempre di più l’esigenza di mescolare tutto, di sperimentare giocando tra passato e futuro. Creare qualcosa di nuovo partendo da qualcosa di classico è magico. Una cosa a cui tengo sempre è mantenere la mia musica fresca, anche quando attingo dal passato. Del resto, la mia attitudine non si può cambiare, io praticamente improvviso le mie canzoni in fase creativa. È questo che le rende sempre fresche, secondo me.
Faccio un focus su questo video, anche lui decisamente strano per il tuo modo di concepire i video. Ed è inevitabile il rimando a Dylan e a quel video “Subterranean Homesick Blues”. Il riferimento è voluto? O comunque… una dichiarazione di intenti nel voler essere più un cantautore che un rapper questa volta?
Si, è anche una citazione a Bob Dylan! Volevo fare un video che rispecchiasse la canzone e che fosse in controtendenza anche nel suo svogimento. In una fase storica in cui i video sono iper-veloci, molto movimentati e pieni di cambi (TikTok è l’esempio più lampante di questa tendenza), ho voluto fare un video fermo, a inquadratura fissa, senza nemmeno il playback. Semplicemente io, con la faccia incazzata e il cartello con scritto Felice.
Anche il video è di critica all’epoca social, esattamente come la canzone. Molto spesso basta un’idea per poter fare un video, e non per forza avere dei mega budget. Anche questo credo sia in controtendenza.
Ma è inevitabile chiedertelo: cambiamenti momentanei o ci hai preso gusto?
Vado dove mi porta l’ispirazione. Sicuramente mi sta piacendo cantare su un giro di chitarra e basta, ma ho anche molte cose rap già da parte. Mi piace anche mescolare l’acustico con l’elettronico, quindi veramente, potrei fare di tutto. Magari il prossimo disco sarà di musica classica!
E come ti senti in questa nuova dimensione? Questo linguaggio ha dato di più o di meno al tuo modo di esprimerti?
Molto stimolante. La fase creativa è stata molto divertente, perché per me fare un disco solo voce e chitarra è stata una sfida. Mio padre diceva sempre che se una canzone gira già solo voce e chitarra, vuol dire che girare sempre. È proprio così! Da rapper, reggere un intero disco solo sulla chitarra è stato molto figo, è stato come emanciparmi da me stesso, evolvermi verso il nuovo me. Cerco sempre nuovi mezzi d’espressione, per dirti, sto facendo un mio fumetto, scritto e disegnato da me!
E per chiudere: quanto hai pensato a tuo padre e alle tue origini artistiche? Che sia un progetto che in qualche modo dovevi alla tua storia e alla tua vita?
Assolutamente si, anche se poi è venuto naturale. Nel senso, non mi sono messo a tavolino a fare un disco cantautoriale. Semplicemente in questa fase della mia vita è uscita fuori questa parte di me che esiste da sempre. Credo che tutta la mia musica sia intrisa di mio padre, anche inconsciamente. Ho ereditato da lui molto più che la passione per la musica. Credo di avere un attitudine allo stare al mondo molto simile alla sua.