Intervista di Gianluca Clerici
Lo avevamo conosciuto nel 2018 con il suo esordio “Il gioco della sorte” anche candidato al Tenco come Miglior Opera Prima di quell’anno. Oggi torna con un singolo, dalle trame pop e dalle belle radici leggere italiane, impegnate nella ricerca di una verità personale e ricco di un video diretto da Gandolfo Schimmenti in cui si immortala una bellissima notte nell’antico borgo di Polizzi Generosa, in Sicilia. Perché è un brano di radici questo… e a lui rivolgiamo le consuete domande di Just Kids Society.
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
Hai detto bene, parlare di musica oggi sta sempre più diventando difficile. Che il linguaggio stia cambiando è una cosa di cui sono molto convinto, ma non credo che il problema sia da ricercare in questo fenomeno e nemmeno nelle perdita dei valori legati alla cultura musicale, piuttosto in un atteggiamento “passivo” nei confronti di quel cambiamento. Penso che il continuo mutamento sociale stia portando con sé una quasi attitudine a dare per scontate tante cose, come la bellezza di una canzone, di un opera d’arte di una tradizione passata. Per fortuna ci sono tante persone, tanti ragazzi che invece apprezzano e resistono.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
La personalità più che ricercata è secondo me un insieme di caratteristiche che si sviluppano in modo naturale. Io cerco sempre di trasmettere la mia personalità e il mio modo di vedere le cose nella mia musica; per cui più che ricercare una personalità cerco più semplicemente di “trasferirla”. L’appartenenza al sistema musicale non è mai stata una mia priorità; è chiaro però che prendo riferimento da quella parte di sistema che più mi piace e che più sento vicino al mio mondo.
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
Di getto, rispondo per me stesso. E proprio perché rispondo velocemente penso che sia sincera come posizione. Tuttavia sarebbe pure sbagliato non dire che quando scrivo rifletto molto su cosa penserà il mio pubblico ascoltando quella canzone. Quindi direi che scrivo perché mi piace farlo, seguendo le mie sensazioni e immaginando anche le sensazioni degli altri.
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
Penso che c’è tanto bisogno di essere e meno di apparire. Essere se stessi nella scrittura significa
essere credibili; significa avere una dignità artistica e significa “spianare la strada” in modo naturale
all’apparire.
Se si fa musica in modo assolutamente naturale, più che la voglia di apparire ci sarà la voglia di far
ascoltare e di condividere con altre persone una cosa di cui si va fieri.
Bella canzone di pop d’autore, trasparente, sincera, fatta di antichità e di nuovi presagi, di misteri che però affascinano e incantano con quel grandioso gusto che dall’Italia prende derive internazionali. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?
Grazie, lo dico veramente.
In generale mi piace sempre raccontare la vita di tutti i giorni senza ombra di dubbio. Nello specifico, con questa nuova canzone e con le altre che seguiranno, tenterò di raccontare la reazione che la mia generazione sta avendo di fronte alla dinamicità della società, sempre più rapida e continua.
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
La mancanza di curiosità forse è il motivo principale di queste riduzioni. Credo che comunque il settore della musica di qualità stia risentendo meno questo fenomeno, per fortuna. Sono molto fiducioso infatti perché mi capita spesso a Roma di andare ad ascoltare dei concerti e di vedere le sale piene e con un pubblico molto interessato e attento. Forse (e spero) la canzone d’autore sta lentamente ricatturando l’interesse della mia generazione, almeno per quanto riguarda i live.
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?
Le incontra tantissimo. Ogni concerto è un incontro con le persone. A me poi, piace molto parlare con la gente durante i concerti e coinvolgere il pubblico. E’ una cosa fondamentale; non c’è niente di più bello e importante per un artista su un palco di vedere e percepire le sensazioni e le emozioni che sta vivendo il suo pubblico.
E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di Francesco Anselmo, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Ti dirò due cose opposte ma che mi piacerebbe molto ascoltare dopo un mio concerto: Il funk di Roy Ayers e il folk di Kurt Vile.