Intervista di Gianluca Clerici
Nicola Denti, chitarrista delle Custodie Cautelari, produttore, compositore… amante di quel rock elettrico che ha reso celebri chitarristi di grande spessore e di fama mondiale. Ed è da tutto quel grande calderone che arriva l’ispirazione e la firma estetica per questo nuovo disco dal titolo “Egosfera” dove il nostro ci parla di un’era distopica, egocentrica, del viaggio di un personaggio chiamato Ekow… Nicola Denti parla di società e delle sue future distorsioni. A lui le nostre consuete domande di Just Kids Society:
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
Sicuramente è un periodo di grandi cambiamenti, è cambiato in maniera radicale il modo in cui possiamo accedere alla musica. Puoi ascoltare il giorno stesso dell’uscita la nuova canzone o il nuovo disco di qualsiasi artista. È diventato semplicissimo pubblicare le proprie canzoni in tutto il mondo, ma è anche vero che forse è ancora più difficile trovare uno spiraglio di visibilità, non c’è più reale selezione, non contano più tanto le idee, l’originalità, non conta più la storia di un artista o quello che ha fatto in passato, ma solo il numero di follower che è riuscito a reperire su Instagram o su Facebook.
Il modo di ascoltare sicuramente è molto più di fretta, arrangiamenti plasticosi e scontati sono all’ordine del giorno, si ascoltano le playlist di Spotify senza sapere chi suona quel pezzo o quell’altro, ed è raro trovare tra i giovanissimi chi ha ancora la curiosità di scoprire nuove band, le nuove correnti musicali.
Ma dobbiamo cercare di risvegliare l’interesse in chi ascolta musica, è quello che cerco di fare quotidianamente con i miei allievi, li spingo ad ascoltare anche cose molto lontane da quello che ascoltano normalmente per dargli nuovi stimoli.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
Non mi sono posto troppi problemi, sapevo che sarebbe stato un disco un pò contro tendenza ma volevo portare questo genere strumentale all’ascolto di più persone possibili, quindi ho pensato che l’unico modo fosse fare un crowdfunding. Così ho cominciato quest’avventura con BeCrowdy e devo dire che ho visto l’entusiasmo dei sostenitori che hanno finanziato il disco, ho raggiunto quasi il 200% della cifra richiesta e questo mi ha dato una grande energia per lavorare al meglio alla realizzazione del disco.
Penso sia un modo molto efficace per le nuove band per cercare di generare interesse nella loro musica e forse uno dei pochi modi per vendere qualche copia fisica o streaming del proprio disco.
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
Beh direi che bisognerebbe guardare ad entrambe le cose. Ho scritto il disco perché avevo bisogno di raccontare una storia, non volevo farlo diventare un disco di dimostrazioni tecniche o qualcosa del genere, volevo comunicare attraverso la musica. La cosa più difficile penso sia cercare di non perdere di vista la propria personalità nel processo creativo, comunque sempre pensando di renderlo il più possibile fruibile all’ascoltatore.
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
Riuscire a trovare l’equilibrio è difficile. Ormai bisogna destreggiarsi con mille social, da Instagram, Facebook e tanti altri, in ognuno devi studiare il modo per mettere in evidenza il tuo lavoro e tutto ciò lo trovo molto complesso, soprattutto se tenti di riuscire a fare emergere davvero la tua identità.
Diventa praticamente un secondo lavoro, ma è diventata l’unica strada per fare conoscere a più persone possibile la tua musica.
Un disco di chitarra elettrica, non solitaria ma solista. Un gran disco di rock e di acide visioni. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?
Il concept è basato sulla storia di Ekow, una persona che soffre di allucinazioni e deliri, e decide di partire per un viaggio verso Egosfera, un luogo metaforico dove poter ritrovare il proprio equilibrio mentale. Mi auguro che chiunque ascolti il disco riesca ad immedesimarsi nel proprio viaggio, un viaggio verso una meta diversa per ognuno di noi.
Essendo un disco strumentale spazio e tempo non sono definiti e c’è una grande libertà di immaginazione. Ho mischiato generi diversi, rock, metal, tempi dispari, ballad, momenti acustici, percussioni orientali proprio per dare l’idea della varietà di momenti di cui è composto un viaggio cercando di sorprendere l’ascoltatore.
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
Penso che nell’ultimo periodo musicale si stia tutto un po’ appiattendo; come dicevo prima, c’è bisogno di stimolare la curiosità nei giovanissimi, cercando di dargli una educazione musicale e questa è una grande sfida ed è quello che ho sempre cercato di fare da quando ho iniziato a insegnare musica. Comunque io penso che sia tutto ciclico.
Rimango fiducioso che tornerà alla gente la voglia e la passione di andare scoprire dal vivo nuove band. D’altronde il live è rimasto l’unico modo di sostenersi per l’artista, dato che non si vendono più i dischi e le rendite del digitale e dello streaming sono davvero irrisorie.
Spero che questo periodo negativo di restrizioni dovuta a questa emergenza sanitaria dove tutti i live sono stati annullati, possa fare fare ritrovare al pubblico l’entusiasmo di andare ai concerti e riscoprire davvero l’importanza della musica suonata dal vivo, io non vedo l’ora.
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?
L’essere musicista per me vuole dire condividere con gli altri la propria creatività ed espressività e mi ha portato a incontrare davvero tanta nuova gente, tra il pubblico, musicisti e addetti ai lavori. Il potere della musica penso sia proprio quello di unire e farti sentire parte di una comunità. Nei live mi capita continuamente poi di conoscere appassionati di musica con un grande rispetto per il nostro lavoro che ci danno la forza di continuare a farlo sempre meglio.
E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di Nicola Denti, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Qualcosa di molto diverso, American Utopia di David Byrne per esempio.