Intervista di Gianluca Clerici
Belle sensazioni di pulizia e di gusto internazionale con questo lavoro dei MONS, band torinese che sforna un lavoro dal titolo “Non può piovere per sempre” dove rivive la fusion californiana in tanti aspetti ma anche belle tinte di pop nostrano dietro una tendina di elettronica raffinata senza eccessi e senza fuori pista arroganti. Un esordio che sottolineiamo con piacere e che quindi non poteva sfuggire alle consuete domande di Just Kids Society:
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
Vi è mai capitato di entrare in una gelateria e avere a disposizione così tanti gusti da non sapere quale scegliere? Il digitale ha fatto questo, ha messo tutto a disposizione di tutti e questo ha di positivo il fatto che ogni artista possa rendere usufruibile il suo prodotto e farsi sentire, ma dall’altro lato si va a creare una rete di informazione così fitta che:
1) non si sa più cosa ascoltare in quanto è difficile districarsi in questa fitta rete
2) non si riesce più ad ascoltare criticamente o in maniera attenta in quanto concluso un ascolto esce subito qualcosa di nuovo e, per stare al passo, spesso ci si dimentica di ciò che si è appena ascoltato e si passa subito al nuovo ascolto. La società è cambiata e con essa anche l’arte e la cultura sono cambiate in meglio per alcuni aspetti, in peggio per altri.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
Abbiamo provato ad essere peculiari e a distinguerci nel panorama musicale italiano cercando di andare contro corrente e ricercando una sonorità organica nella quale prevalesse la musica suonata rispetto ai suoni digitali, che comunque sono presenti dettando così l’appartenenza alla nostra generazione, una sorta di fusione fra sonorità moderne e vintage.
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
Secondo noi bisogna fare musica un po’ per entrambi. Sicuramente la scrittura di una canzone è fortemente liberatoria e quindi è fatta in buona parte per se stessi ma allo stesso tempo la musica è comunicazione, portatrice di messaggi e deve riuscire a emozionare e talvolta insegnare qualcosa al pubblico che ascolta
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
I social rispecchiano proprio quanto questa società punti tutto sull’apparire e per nulla su ciò che una persona è realmente. Fortunatamente qualcosa sta cambiando ma bisogna ancora lottare molto per invertire questa tendenza e far capire alle persone che bisogna andare oltre l’apparenza e che il bello dell’umanità sta proprio nella diversità, non nel conformarsi a dei canoni e quindi modificare la propria essenza per apparire come qualcun’altro. Per noi bisogna essere e basta.
Canzoni pulite, dal sapore americano, di quella fusion glitterata e di quel funky digitale. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un
altro punto di vista a cui dedicarsi?
Questo disco è fortemente autobiografico e spesso gli eventi portano a riflettere su questioni che prima ci sembravano così distanti da nemmeno sfiorarci. L’obiettivo di questo disco è proprio somigliare alla vita di tutti i giorni ma anche portare un messaggio di speranza, far capire che anche nei momenti più difficili della nostra vita bisogna trovare la forza di rialzarsi.
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
Il crollo dei live ha avuto numerose motivazioni tra cui sicuramente dei fattori di tipo socio-culturale ma c’è sempre più fermento fra i giovani e sembra ritornare l’amore per gli eventi live e per i festival.
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?
Questo lavoro è profondamente intimo ma allo stesso tempo vuole comunicare, vuole portare dei messaggi e trattare tematiche che siano d’aiuto e che facciano riflettere le persone quindi assolutamente non si deve tenere a distanza dalle persone.
E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto dei Mons, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
In chiusura musica strumentale, qualcosa di moderno tipo Snarky Puppy, magari “What about me”.