Intervista di Gianluca Clerici
Canzone d’autore, raffinata, semplice, acustica… quasi per intero di sola chitarra per quanto un disco come “Single” ha saputo accogliere anche la canzone, d’autore e di bellezza ovviamente. Nelle ultime tracce, un disco come “Single” si riempie anche di voce e di collaborazioni, da Andrea Andrillo a Max Manfredi e, ovviamente alla sua: Giacomo Deiana, cantautore sardo, pubblica un nuovo lavoro per la RadiciMusic di Firenze e noi siamo qui come sempre a tirar via i suoi punti di vista per le consuete domande di Jus Kids Society. Ed è sempre un piacere parlare con un cantautore vero, nel cuore e nell’anima… e nelle parole… e che peso sociale ha la sensibilità di questo video ufficiale che, come sempre, trovate di seguito.
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
Dipende da quale punto di vista consideriamo il ruolo di chi fa “arte”. Se diamo alla musica, e in particolare alla canzone, il ruolo di raccontare un epoca, o un fenomeno, o fotografare un periodo storico, anche tramite le emozioni, nessun cambiamento sarà un limite, anzi, sarà l’occasione più ghiotta per interpretare quel mutamento anche nel modo di scrivere e porgere la propria poetica al pubblico che è parte di quel cambiamento, o quantomeno, ne vive le conseguenze. Se consideriamo invece il mestiere, l’attività che porta un giusto tornaconto economico allora la questione cambia, perché non limitarsi a subire il cambiamento diventa l’unico modo per sopravvivere, e se utilizzare la nostalgia per ciò che più non è può costituire materiale per tenere viva una memoria collettiva e non per piangersi addosso allora sì, vale la pena sottolineare anche ciò che si perde nell’inevitabile mutare delle stagioni e delle tecnologie. I dischi ci sono, eccome, ce ne sono fin troppi! Non posso negare che nel mezzo di una produzione oceanica si rischi di perdere prodotti di alta qualità perché non adeguatamente promossi. Oppure perché, come nel caso di questa risposta, a molti musicisti, me compreso, manca il dono della sintesi, o meglio, non desiderano lasciare inespresse le sfumature di un pensiero che tanto pubblico vorrebbe di rapida, fulminea fruizione.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
Bisogna tenere conto di un aspetto importante della mia personalità, che ho in comune con tanti stimati colleghi: l’egocentrismo! Caratteristica che può rendere difficile, a bolte impossibile, la collaborazione, addirittura annientare il lavoro di un artista, ma, se riconosciuta e utilizzata in positivo può far sì che l’impronta personale dell’autore sia evidente in ciò che produce. Io spero di essere riuscito a rendere vera questa seconda ipotesi, ma può dirlo molto meglio di me l’ascoltatore. Dalla periferia dell’impero da cui ti parlo, ad essere onesto, il concetto di sistema è piuttosto vago e sfugge, forse per sua stessa intrinseca natura, alla mia comprensione, quindi, anche per un semplice calcolo energetico, mi costerebbe molta più fatica correre dietro a regole che non conosco e non capisco che attenermi a ciò che mi dice il cuore e l’esperienza personale!
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
Io sono convinto che la pratica dell’inseguimento del consenso sia destinata al fallimento. Il pubblico ha fame di autenticità, tanto da cercarla anche dove questa è solo mimata, solo riprodotta. Penso ai talent, che le persone seguono illudendosi di star assistendo davvero al dietro le quinte di un successo, a attimi di vita reale rubati all’artista. Tutti sanno che non è così, eppure sono tanto affamati di autenticità da essere disposti a sospendere l’incredulità per poterne afferrare uno scampolo, anche se di un semplice simulacro. Essere autentico è un imperativo etico che mi sono dato, un patto che ho sottoscritto con il mio pubblico, ancora prima di averne uno, anche se sarà costituito da pochi affezionati. Quello che sentite uscire dalla mia bocca e dalle mie mani è frutto del mio sforzo di essere sempre autentico, e se qualche volta non riesco a pieno, voglio che si sappia che è solo perché non ho avuto la lucidità o la forza per arrivare fino a questo difficile traguardo.
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
Ho in parte risposto alla tua domanda, ma desidero aggiungere una cosa importante: chiunque abbia l’energia e il coraggio per salire su un palco, per uscire con un disco o anche una sola canzone, ha dato forma, spesso animato da nobili intenzioni e con ottimi risultati, al proprio esibizionismo! Fa parte di noi, non c’è niente di male e negarlo è sciocco e un po’ snob. Ci piace essere ascoltati, ci piace l’applauso della platea, ci piace sapere di vivere anche tramite i nostri versi e le nostre musiche. Come ti dicevo prima chi non è sostenuto da una solida formazione, chi non ha sostanza, non dura. Le belle confezioni piacciono a tutti, ma prima o poi se la scatola è vuota, l’involucro perde di attrattiva.
Un lavoro elegante, d’anima sensibile e senza ridondanze. Un disco di chitarra e voce, principalmente, con un equilibrio davvero coerente e sicuro. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?
Intanto ti ringrazio molto per ciò che dici a proposito dell’album! L’idea è quella di rappresentare l’aspetto più solitario della vita, lo spazio della riflessione, il momento in cui la musica assume la voce delle emozioni intime e personali.per quanto mi riguarda un’oasi di pace, prima di vestire i panni del mediatore con tutte le incombenze sociali e relazionali che dobbiamo necessariamente affrontare ogni giorno, ed è un bene, perché sono materiale anche per la fase più solipsista della creazione.
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
Tralasciando il fatto che momentaneamente l’attività live di tutti è stata sospesa per le note vicende che tutti ci han coinvolto negli ultimi mesi, penso che non si smetterà mai di fare musica dal vivo. Finché ci sarà qualcuno che suona e qualcuno che ascolta, fosse anche all’angolo di una strada, i concerti continueranno! Oramai sono usuali forme differenti dai grandi palchi degli anni settanta e ottanta, si fa musica nelle case, nei luoghi d’arte più impensati, negli orari insoliti, e questo io lo trovo stimolante e affascinante. Certo, a tutti piacerebbe suonare sempre in grandi teatri, con un gran numero di persone, però forse non è più attuale, oppure è semplicemente che tra le abilità richieste ad un musicista per essere completo, come saper suonare o cantare, adesso è imprescindibile quella di saper richiamare gli ascoltatori padroneggiando il vocabolario dei social.
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?
Non credo nel mito del genio incompreso, nè nella figura eroica dell’artista solo contro tutti. Credo invece che ogni forma espressiva sia l’occasione più bella per creare connessioni, relazioni, incontrare storie e persone altrimenti lontane, fisicamente e non. Credimi, non sono solo belle parole, io scrivo perché spero che ciò che metto in musica oggi si trasformi in una stretta di mano, un abbraccio, un bicchiere di vino insieme domani.
E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto di Giacomo Deiana, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Ovviamente un album del mitico Peo Alfonsi, mio amato maestro di chitarra, che tanto mi ha influenzato e ispirato!