LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: OUTWAVE

Intervista di Gianluca Clerici

Ci spostiamo a Padova, dentro le trame degli OUTWAVE, band rock dai toni alternative e decisamente metropolitani, dai Nikelback alle più ruvide strade del pop-rock main stream dove regna quel romanticismo epico assolutamente cinematografico. “The Storm” pubblicato dalla Seahorse Recording si presenta così, come un lungo concept dentro le trame della vita quotidiana, tra pennellate di dolci paesaggi e strade notturne di grandi metropoli di confine. Il tutto, rigorosamente da ascoltare in sella ad una moto. E non è un caso che i nostri sceglierebbero gli AC/DC per salutare il pubblico dopo un concerto. A queste visioni accostiamo le nostre consuete domande di Just Kids Society.

Parliamo di musica o di gossip? Oggi il mondo sembra più attento agli effetti di scena, da dare in pasto al giornalismo e alle tv più che ai contenuti degli artisti. Ecco la domanda: perché qualcosa arrivi al pubblico di questo presente meglio badare quindi alla scena o restare fedele ai contenuti?
Seppure la parte più importante siano certamente i contenuti della musica, crediamo che non si debba trascurare nessuno dei due aspetti. La stampa sembra eccessivamente attenta agli effetti di scena ma la maggior parte del pubblico si lascia ancora trasportare dalle sonorità e dal messaggio che il musicista vuole esprimere: la stessa nostra idea di creare un concept è basata su questa convinzione. Gli effetti di scena intesi non come gossip ma come spettacolo “live” sono fondamentali a veicolare il proprio pensiero musicale e aiutano l’ascoltatore ad entrare nel mondo che la band vuole offrire.

Guardiamo sempre al passato, alle radici, ai grandi classici per citare insegnamenti e condizionare le mode del futuro. Perché? Il presente non ha le carte per segnare una nuova via?
Il presente ha tutti gli strumenti per elaborare le radici classiche (che certamente sono quelle con cui siamo cresciuti e che ci hanno più influenzato) e creare qualcosa di nuovo.
Vi sono costanti evoluzioni sonore che danno spunti per nuove idee e lo stimolo ad entrare in studio di registrazione. Non tutte le nuove correnti musicali ovviamente ci rispecchiano ma cerchiamo di essere il più possibile aperti e attenti cercando di trarre spunto anche dalle band che magari non sono tra le più conosciute.

Che poi di fronte alle tante trasgressioni che ci vengono vendute dalle televisioni, quante sono davvero innovative e quante sono figlie sconosciute e mascherate di quei classici anche “meno famosi” di cui parlavamo poco fa?
Le “trasgressioni” sono sempre piaciute al pubblico perché vanno fuori dagli standard di vita e attirano spesso l’attenzione di chi conduce una vita diciamo monotona. La cosa importante è cercare di percepire quello che viene fatto e come viene fatto. Tante volte il pubblico ascolta musica senza la minima attenzione a quello che sta trasmettendo e tra i ragazzi è sempre più frequente questo fenomeno. Detto questo l’innovazione è frutto di passione e tanto studio e questo lo deve capire sia l’artista sia l’ascoltatore.

Scendiamo nello specifico di questo disco, che parla di un rock che non ci sta a mascherarsi dietro demagogie e finte illusioni. È decisamente un rock figlio delle grandi scuole e ha tutta l’aria di vendersi come tale. Anche la produzione ha cercato questa direzione o sbaglio? Dunque come può parlare al pubblico di oggi che sta continuamente con i telefonini in mano a cercare di identificarsi dentro suoni digitali di format discografici ciclicamente copiati e riproposti?
Grazie per la vostra considerazione! Si, l’impostazione del disco si ispira molto alle produzioni rock del passato come si può evincere dalle evocative introduzioni strumentali, dalla estesa presenza di soli di chitarra e dall’utilizzo prevalente di strumentazione analogica. Potrebbe essere un approccio old style ma siamo consapevoli che lavorando in questo modo abbiamo mantenuto la nostra personalità. Non ci riconosciamo nelle produzioni “immediate” di oggi che si basano su suoni sempre più finti e digitalizzati in cui gli unici musicisti sono i computer.

Parliamo di cultura e di informazione. Siamo dentro un circo mediatico dalla forza assurda capace di fagocitare le piccole realtà, anzi direi tutte le realtà particolari di cui parlava Pasolini. La musica indipendente quindi che peso continua ad avere? Oppure viene lasciata libera di parlare tanto non troverà mai terreno fertile di attenzioni?
La musica indipendente è da sempre stata una realtà importante per chi non si riconosceva nel mainstream, una valvola di sfogo alla massa scontata e ripetitiva. Anche in Italia soprattutto negli anni novanta si è sviluppata questa corrente, portando alla notorietà diversi gruppi ancora oggi apprezzati. Il “pericolo” è che proprio questi artisti non si ritrovino, a causa del successo, in quel circo mediatico cambiando inevitabilmente la propria personalità e tradendo così le proprie radici e il proprio pubblico.

Più in generale, la musica può tornare ad avere un peso sociale per la gente quotidiana?
Speriamo di si, la storia infatti ci ha insegnato come la musica sia stata l’inno di importanti movimenti di protesta. Viene in mente il periodo della guerra del Vietnam in cui Jimi Hendrix con la sua chitarra i riproduceva i rumori assordanti delle bombe lanciate dagli americani. Ci sono tanti esempi nel mondo che fanno capire il peso sociale che può avere la musica. E’ un’ atto di ribellione, quella cosa che Bob Marley diceva che può colpirti senza farti male.

E restando sul tema delle trasformazioni: vinile o CD? Oggi in fondo anche la musica è gratis, basta un click… è giusto secondo voi? Eppure anche se tutti condannano la gratuità, tutti vogliono finire su Spotify…
La facilità che la rete ha dato di poter fruire della musica ha portato secondo noi due conseguenze: il crollo dell’industria discografica e una diversa modalità di ascolto. La prima è inevitabile, si vendono sempre meno dischi e l’artista ne trae da essi un minore guadagno. Il secondo aspetto mette in evidenza che oggi la musica è diventata più “leggera”, soprattutto con l’avvento dell’mp3. Posso ascoltare quindi il mio artista preferito non solo a casa, ma anche in autobus, in macchina, mentre faccio jogging, semplicemente attraverso lo smartphone o lettore Mp3. Un tempo invece si aveva meno possibilità di ascoltare musica a proprio piacimento in tempi ravvicinati perché i cd, soprattutto i vinili, avevano un costo, quindi si ascoltava l’album di quell’artista/gruppo per un tempo maggiore prima di prendere un altro LP. C’era inoltre una ritualità precisa che partiva dall’acquisto del disco in negozio per poi tornare a casa, scartarlo con cura e finalmente inserirlo nel proprio lettore cd osservandone durante l’ascolto la copertina e il libretto contenuto all’interno. Il tempo dedicato alla musica era in generale maggiore rispetto a oggi. Da musicisti è ovvio che preferiamo l’approccio del passato anche se pure noi utilizziamo Youtube e Spotify. bisogna anche considerare che per chi la musica è un mero passatempo di certo non è un problema se la fonte da cui deriva il brano che sta ascoltando sia Mp3 o Hi Fi.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto degli OUTWAVE, per voi il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
“For those about the rock, we salute you”…

 

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