LE INTERVISTE DI JUST KIDS SOCIETY: BEPPE CUNICO

Intervista di Gianluca Clerici

Esordio discografico di grande maturità, lavoro di illuminante classicità rock che prevede ascolti di vita importanti, di grandi pilastri, di un tempo denso di trasformazioni. Beppe Cunico arriva così ai solchi di questo vinile dal titolo “Passion, Love, Heart & Soul”, cantautore e batterista che spreme tutta la sua vita, la sua adolescenza divenuta maturità, la sua esplorazione divenuto mestiere. Un disco dedicato a quel fare rock progressivo e lisergico che, almeno per ora, decide di dirigere alla vita, all’amore, alle passioni… all’anima di tutti. Come non rivolgergli le consuete domande di Just Kids Society.

Parliamo di musica o di gossip? Oggi il mondo sembra più attento agli effetti di scena, da dare in pasto al giornalismo e alle tv più che ai contenuti degli artisti. Ecco la domanda: perché qualcosa arrivi al pubblico di questo presente meglio badare quindi alla scena o restare fedele ai contenuti?
I contenuti, sempre. La sincerità e la passione sono gli elementi che rendono credibile un artista, due elementi che purtroppo latitano nel mondo della cosiddetta “alta discografia”. Bisogna far veicolare le risorse verso la vera musica, suonata e di spessore. Ne abbiamo molta, ma purtroppo rimane relegata nell’underground. Io cerco di fare la mia parte, assieme a molti altri e spero che possa servire alla causa.

Guardiamo sempre al passato, alle radici, ai grandi classici per citare insegnamenti e condizionare le mode del futuro. Perché? Il presente non ha le carte per segnare una nuova via?
Bisogna sempre attingere al passato per creare un futuro migliore. Il passato insegna a non fare errori. Purtroppo, spesso per comodità o per mancanza d’impegno, al giorno d’oggi si tende a prendere sempre le scorciatoie, a costo della qualità. La crisi legata al covid ha messo a nudo molti problemi trascurati per troppo tempo. Spero che questo possa essere l’inizio di una nuova fase, dove la cultura, la scuola e la musica ritornino ad essere tutelati e protagonista nella società, perché sono degli elementi basilari per costruire un futuro migliore.

Che poi di fronte alle tante trasgressioni che ci vengono vendute dalle televisioni, quante sono davvero innovative e quante sono figlie sconosciute e mascherate di quei classici anche “meno famosi” di cui parlavamo poco fa?
Il Punk è stata trasgressione, cambiamento e aria nuova. Adesso l’aspetto esteriore, l’immagine costruita fotocopia una con l’altra, hanno poco a che fare il significato di trasgressione. Il problema è che non ci sono contenuti, ma parolacce, messaggi pericolosi e qualunquismo. Quindi le nuove trasgressioni sono create per dirottarti a seguire mode vuote.

Scendiamo nello specifico di questo disco, che parla di un rock che non ci sta a mascherarsi dietro demagogie e finte illusioni. È decisamente un rock figlio delle grandi scuole e ha tutta l’aria di vendersi come tale. Anche la produzione ha cercato questa direzione o sbaglio? Dunque, come può parlare al pubblico di oggi che sta continuamente con i telefonini in mano a cercare di identificarsi dentro suoni digitali di format discografici ciclicamente copiati e riproposti?
Certo. Quando sono partito a comporre avevo già in mente come doveva essere il risultato e con l’aiuto di Sandro Franchin alla produzione, sono riuscito nell’intento. Prog-rock genuino e sincero, senza fronzoli, ma consistente, suonato assieme ad amici musicisti, che doveva dare l’immagine di me così come sono: un artigiano della musica, alla sua prima esperienza cantautorale. Io, poi, sono un romantico e spero sempre che la gente si svegli dall’ipnosi di questa società digitale. O meglio che usi il digitale per migliorarsi la vita, non per farsi condizionare e manipolare. Purtroppo, software sempre più sofisticati permettono di “creare musica” dal nulla, senza suonare nemmeno uno strumento, solo per arrivare ad accompagnare un video dove apparire come delle star.

Parliamo di cultura e di informazione. Siamo dentro un circo mediatico dalla forza assurda capace di fagocitare le piccole realtà, anzi direi tutte le realtà particolari di cui parlava Pasolini. La musica indipendente quindi che peso continua ad avere? Oppure viene lasciata libera di parlare tanto non troverà mai terreno fertile di attenzioni?
È una dura lotta ma va combattuta, perché prima o poi vinceremo. La musica indipendente è importantissima, perché propone originalità e non ha vincoli delle major, che devono far quadrare sempre il loro tornaconto, e non la qualità del progetto o il suo sviluppo. Della musica indipendente fanno anche parte artisti di grosso calibro che si sono staccati dalle logiche delle major come Peter Gabriel o Renato Zero, così da non dover più rendere conto a nessuno delle loro scelte artistiche.

Più in generale, la musica può tornare ad avere un peso sociale per la gente quotidiana?
Secondo me si, a patto che la gente innalzi sia la qualità dei loro ascolti  che il tempo per ascoltare musica, magari sottraendolo ai social.

E restando sul tema delle trasformazioni: vinile, CD o canali digitali? Oggi in fondo anche la musica è gratis, basta un click… è segno del futuro o è il vero cuore della crisi? Che poi tutti condannano la gratuità però tutti vogliono finirci su Spotify…
Allora bisogna dire che servizi come iTunes o Spotify hanno permesso di fruire, non gratuitamente, musica ad una discreta qualità. È vero che pagano pochissimo gli artisti, ma niente sarebbe peggio. Però abbiamo anche BandCamp che è molto orientata verso l’artista e permette di vendere la propria musica in alta qualità ad un prezzo scelto dall’artista, chiedendo una provvigione bassissima. Inoltre, tutti questi servizi permettono di avere una vetrina potenzialmente. Il rovescio della medaglia è che anche cani e porci possono pubblicare la loro merda e promuoverla gonfiando gli ascolti in maniera artificiale. Fortunatamente il vinile sta riprendendo piede anche tra i più giovani ed è un segno ad un ritorno al passato positivo, perché riavvicina le persone ad un ascolto più attento ed accurato.

A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di Beppe Cunico, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
“The Raven that Refused to Sing” di Steven Wilson.

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