Intervista di Gianluca Clerici
Secondo disco per un cantautore energico di visioni che oserei definire post-apocalittiche, atomiche ed essenziali, lisergiche dentro suoni istintivi e “casuali” (le virgolette sono doverose). Alessandro Pacini firma una bella prova d’autore con questo disco dal titolo “Pausa siderale” pubblicata per la Seahorse Recordings di Paolo Messere, producer che ritroviamo nell’organico dei suoni e della direzione artistica. Disco di introspezione ma anche di un rock acido che non si lascia sedurre dalle soluzioni melodiche di facile consumo… anzi. Lavoro impegnativo anche e soprattutto dal punto di vista lirico. Lavoro di grande peso immaginifico… dunque, contro ogni tendenza di mercato, rivolgiamo ad Alessandro Pacini le consuete domande di Just Kids Society.
Parliamo di musica o di gossip? Oggi il mondo sembra più attento agli effetti di scena, da dare in pasto al giornalismo e alle tv più che ai contenuti degli artisti. Ecco la domanda: perché qualcosa arrivi al pubblico di questo presente meglio badare quindi alla scena o restare fedele ai contenuti?
Nell’era digitale in cui viviamo dove tutto si consuma rapidamente, se si vuole comunicare qualcosa di autentico che sia in grado di mantenere il suo valore nel tempo, bisogna badare principalmente ai contenuti: sono la parte essenziale di un’opera artistica, quella che può fare la differenza.
Guardiamo sempre al passato, alle radici, ai grandi classici per citare insegnamenti e condizionare le mode del futuro. Perché? Il presente non ha le carte per segnare una nuova via?
Non è sbagliato guardare ai grandi classici, purché lo si faccia unicamente per trarne ispirazione e creare qualcosa di nuovo e originale. Il passato, attraverso le esperienze di altri uomini, ci ha lasciato i suoi insegnamenti. Dobbiamo farne tesoro e continuare a esplorare, perché il nostro presente sta già segnando una nuova via che condizionerà il futuro.
Che poi di fronte alle tante trasgressioni che ci vengono vendute dalle televisioni, quante sono davvero innovative e quante sono figlie sconosciute e mascherate di quei classici anche “meno famosi” di cui parlavamo poco fa?
Le trasgressioni che ci vengono vendute dalla televisione sono sceniche e spesso sono tristi tentativi di emulazione di classici del passato; si cerca di apparire trasgressivi, ma alla fine si resta intrappolati nei soliti schemi. Senza indossare inutili maschere, restando se stessi, si può dire qualcosa di trasgressivo attraverso i contenuti. Sicuramente ha una forza e un impatto maggiore.
Scendiamo nello specifico di questo disco che si fa rarefatto, stringente, per niente sintetico ma molto acido e visionario in lunghi tratti. Per me è tutto questo il suo vero fulcro di fascino. Anche la produzione ha cercato questa direzione o sbaglio? Dunque come può parlare al pubblico di oggi che sta continuamente con i telefonini in mano a cercare di identificarsi dentro suoni digitali di format discografici ciclicamente copiati e riproposti?
Il disco nasce interamente in acustico, chitarra e voce. Ogni brano è frutto di una personale ricerca armonica, melodica e testuale che ho portato avanti per tre anni. L’apporto di Paolo Messere in qualità di produttore artistico è stato importante. Ha dato la sua impronta rendendo l’intero lavoro dinamico e organico. In studio, nella fase di arrangiamento, non ci siamo imposti una vera e propria linea artistica da seguire. Siamo partiti dal mood di ciascun brano, lo abbiamo interpretato e ci siamo concentrati sulla ricerca dei suoni, lasciando fluire liberamente le idee e mantenendo sempre un approccio spontaneo e autentico. È indubbiamente un disco impegnativo che non può parlare a chiunque. Parla a chi ha la giusta sensibilità per recepirlo; a chi è curioso e capace di abbandonare il pregiudizio per guardare oltre, sotto la superficie.
Parliamo di cultura e di informazione. Siamo dentro un circo mediatico dalla forza assurda capace di fagocitare le piccole realtà, anzi direi tutte le realtà particolari di cui parlava Pasolini. La musica indipendente quindi che peso continua ad avere? Oppure viene lasciata libera di parlare tanto non troverà mai terreno fertile di attenzioni?
La musica indipendente ha perso un po’ la sua identità negli ultimi dieci anni: con l’avvento del cosiddetto Itpop è stata in parte inglobata in quella mainstream. La musica indipendente oggi esiste ancora fortunatamente e si esprime in maniera autentica, lontana dai riflettori. È fatta di piccole realtà che hanno il coraggio di mettersi in gioco portando avanti le proprie idee e scelte senza scendere a compromessi con i gusti e le mode del momento.
Più in generale, la musica può tornare ad avere un peso sociale per la gente quotidiana?
La musica, essendo parte integrante della vita di ogni essere umano, non ha mai smesso di avere un peso sociale. È un fenomeno universale con una potenza comunicativa capace di abbattere ogni barriera culturale. Ha la sua importanza e la sua funzione nella società come lo hanno il resto delle forme d’arte.
E restando sul tema delle trasformazioni: vinile, CD o canali digitali? Oggi in fondo anche la musica è gratis, basta un click… è segno del futuro o è il vero cuore della crisi? Che poi tutti condannano la gratuità però tutti vogliono finirci su Spotify…
Ormai bisogna prendere coscienza che i tempi sono cambiati e con questi anche il modo di ascoltare musica. Essere presenti su queste piattaforme digitali oggi ti permette di arrivare ovunque nel mondo, anche se sei un piccolo artista, e avere sottomano le discografie di gran parte degli artisti. Ci sono pro e contro. Purtroppo quelli che pagano maggiormente le conseguenze dell’avvento del digitale sono proprio i piccoli artisti indipendenti che mettono a disposizione le proprie opere in streaming senza poterne trarre un giusto guadagno. Il vinile e il CD non hanno mai perso il loro fascino nel tempo, nonostante i cambiamenti. Oggi vengono acquistati da pochi appassionati, ma restano il mezzo per ascoltare la musica nel modo più autentico e fedele possibile.
A chiudere, da sempre chiediamo ai nostri ospiti: finito il concerto di Alessandro Pacini, il fonico cosa dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
“Weird Fishes/Arpeggi” dei Radiohead.