Recensione di Francesca Vantaggiato
Tempi selvaggi
Una storia di sangue/rabbia/punk
Ma soprattutto sangue
Da leggere ascoltando la colonna sonora del romanzo: roba da accaponare la pelle! Se non vi piace Spotify, c’è anche su Youtube:
Un libro tosto. Una storia dura. Uno stile crudo. Pagina dopo pagina, ti avventuri insieme a Nove – incosapevole protagonista di queste incasinate vicende – nelle strade di Bologna, Reggio Emilia, Irpinia, Londra. Senti il rumore dei suoi passi pesanti, dichiarati sbattendo gli anfibi sul selciato. Annussi la puzza di marcio che gli scoppia nel cervello. Sei al suo fianco, mentre salta, accoltella, sgomita, picchia, cerca di respirare, suda e vomita. Pagine piene di sangue e sudore, di versi gridati e accordi assolutamente scordati.
L’importante, si sa, è condividere i testi.
Tempi Selvaggi me lo sono tenuto buono per un bel po’. Il libro è uscito ad aprile, ma l’ho letto ad ottobre. Aspettavo il momento giusto, quando avrei trascorso dei giorni tra Bologna e Reggio Emilia. Perché anche io, come Nove, ho vissuto a Bologna i miei anni più duri e pieni, quelli appena dopo i diciotto. Leggendo la sua storia in quei giorni, avrei riprovato quella rabbia che ti acceca la mente e ti infervora il cuore quando sei un/una giovane punk pieno/a di pensieri, pulsioni e musica nel cervello. Insomma, avrei vissuto insieme a lui. E ho fatto bene ad aspettare, perché si è incastrato tutto alla perfezione: il libro, i posti, i dischi, le persone.
Tempi selvaggi a Barazzone
Gli ho fatto fare proprio un bel giro a ‘sto libro. L’ho portato a Barazzone, in provincia di Reggio Emilia. E guarda un po’, che ti trovo a Barazzone? La Libera Osteria Anarchica, ma talmente anarchica che anche se avevamo prenotato per cena, non hanno aperto.
All’alba, mentre gli altri dormivano, me ne andavo sul crinale della collina a leggere di questi personaggi allucinanti e verissimi che popolano le pagine di Tempi selvaggi. Nove sempre incazzato, Black Bonnie la regina nera della musica punk, Alex e Finestra Pinelli degli Anna Falkss, Achille del Disco d’oro, Inez e la sua casa quasi famiglia, Jumpy dei Raf Punk, quello stronzo di Marco, Pantera, Laura la bionda e Stefano, Oddone, Skinino, Riccardo il mod/punk, il Capitano sempre in apparizione mistica, Stiv e Iena dei Nabat.
Poi di notte, mentre tutto il paese dormiva, leggevo di queste band dai nomi tostissimi che sovvertivano il senso stesso della musica, la concezione che fino a quel momento se ne aveva: The Vibrators, Sex Pistols, Talking Heads, Killing Joke, Uk Subs, Lurkers, Damned, Stranglers e poi una valanga di eroi nazionali quali i già citati Anna Falks, Raf punk, Nabat, Ghetto 84, Clito, Dioxina, Rappresaglia and so on. Questo libro è un preziosissimo e fottutissimo archivio! Guardate, infatti come l’ho studiato: se volete gli appunti, ve li passo:
A Barazzone, ero ospite in questa casa vissuta e bellissima, piena di quadri e foto di attori teatrali autografate: in quest’iconica dimora, il padrone di casa Enrico (questo il suo sito) custodice centinaia di vinili jazz che, mi dice, provengono da Nannucci, uno dei due negozi di dischi più famosi di Bologna, insieme al Disco d’oro. I negozi di dischi, negli anni Ottanta bolognesi, non erano solo punto di smercio di album: erano sede del bazzico, punto di ritrovo di giovani che si radunavano fuori dalle loro porte per ascoltare musica nuova, parlarne animatamente, litigare su quanto fossero commerciali e melodici i Ramones o i Clash, erano il luogo in cui potevi riconoscere gli altri animali punk come te. Orde di giovani creste bazzicavano fuori dai negozi di dischi, cosa che da decenni ormai non accade più. Io sono una gran sostenitrice del digitale, ma vuoi mettere quello che significava avere una punta fissa al Disco d’oro il giorno di arrivo di un disco d’importazione?
Facciamo un salto spazio-temporale.
Questo articolo non seguirà un ordine cronologico, per fedeltà a Tempi Selvaggi che fa la stessa cosa. Andiamo avanti di qualche giorno: sono a Bologna, vago alla ricerca di questi due fantomatici negozi di dischi. Nannucci non esiste più da tempo e, sinceramente, non ho capito dove si trovasse (ATTENZIONE! Nota inserita il 10/11 grazie al commento di Jimmy Pursey che trovate sotto: Nannucci si trovava in Via Oberdan 7, una traversa di via Rizzoli, la via con le due Torri in fondo). Non so se ho capito bene, ma forse sorgeva dove oggi c’è un altro negozio di dischi: Semm.
Ci vado, entro, noto una scala sul fondo, salgo. Il primo piano è il regno dell’usato. Ci trovo uno dei proprietari seduto dietro alla scrivania, gli chiedo dove posso trovare roba punk e gli mostro il libro. Mi dice che lo ha terminato e che altre due persone glielo hanno richiesto. Gli rispondo: “Certo, cazzo, è bellissimo!”. Mi dice che devo rovistare. Lo faccio. E lo sapete che cosa trovo? Questi!
Che mi venisse un colpo! Tra le offerte speciali a soli 5€ trovo il vinile di A Country Fit for Heroes, proprio quello che Pantera voleva comprare da Nannucci, in compagnia di Nove. Non ci potevo credere. Rovisto ancora un po’ e trovo un’altra chicca: Ultimo party degli A.C.H.T, uscito per l’etichetta Totò alle prese coi dischi, la label messa in piedi da Attack grazie a Laure de lauris, batterista dei Raf punk. In un attimo, mi sembra di essere anche io dentro al libro. Coincidenze? Non credo. È stato Tempi selvaggi a portarmi qui, è stato Nove a trascinarmi dentro questo negozio di dischi, a farmi salire quella scala, a farmi mettere le mani su questo vinile. Grazie. Non sto più nella pelle: esco, mi siedo al bar di fianco SensoVerso e mi scolo una birra, guardando quanto meravigliosi siano questi dischi pieni di testi e fumetti.
Ma torniamo indietro a Barazzone.
Lunedì mattina, la moglie di Enrico, Lorenza, mi accompagna alla stazione di Sant’Ilario, mentre mi racconta di quella volta che ha trovato i resti di una balena millenaria durante uno dei suoi scavi da archeologa. Sant’Ilario è in provincia di Reggio Emilia. Fa freddo, c’è nebbia, la stazione è desolata, devo attendere una mezz’ora. Mi siedo a terra a leggere. Reggio Emilia: anche Nove c’è stato, era il 14 febbraio del 1980 e i Ramones suonarono proprio al Palasport di questa minuscola cittadina di provincia (leggi qui le date del tour). Il concerto è raccontanto con dovizia di particolari nel libro: un evento pazzesco che ha dell’incredibile e dove succedono cose inaudite. Ma non voglio spoilerare. Immaginate solo cosa doveva essere, per un adolescente punk di provincia, avere un concerto dei Ramones a REGGIO EMILIA. La follia pura.
Un libro di punk e anarchia
Arrivo a Bologna. PER PRIMA COSA, scavalco il Ponte di Galliera, così come faceva Nove. Siamo in piena campagna elettorale: ci sono le elezioni comunali. Quale cornice migliore per incastonarci dentro Tempi Selvaggi, un libro di punk e quindi di politica.
C’è tanta politica in queste pagine che raccontano gli schieramenti di un momento storico pesissimo: terrorismo rosso e nero, PCI, MSI, i collettivi, gli spazi sociali occupati, le stragi, le bombe, i terremoti, le promesse vuote dei politicanti. Questo libro racconta cosa stava succedendo e come il punk e l’oi! non potevano non accadere.
I punk non facevano comizi. Distribuivano volantini scritti a mano all’entrata dei concerti per dire di non assoggettarsi al potere, non partecipare ad eventi organizzati da partiti politici che prendevano l’anima in cambio del tuo voto, di non ascoltare Lou Reed che spacciava canzoni all’eroina, droga di stato per eccellenza (non a caso è nominato LOUREEDO BASTARDO).
Era fregarsene di tutto, stare al di fuori di qualsiasi logica di partito ed extra-partito. Era nichilismo e anarchia: l’individuo e le sue scelte al centro di tutto e di nulla. Era rasarsi i capelli e indossare teschi e borchie, così da spaventare e disorientare, confondere l’altro (l’avversario) e catapultarlo nel catartico dubbio ma questo è un fascio oppure no? Era marchiare un muro con una scritta. Nove seguiva le scritte sui muri come fossero indizi per trovare la strada. E così è sempre stato anche per me.
Il Ponte di Galliera, dicevamo.
Chissà quante volte lo ha percorso Nove, traghettandosi dal quartiere della Bolognina al resto del mondo. La Bolognina è un quartiere popolare, genuino, verace. Nove bazzicava lì: me lo immagino, seduto su un muretto o sul gradino di un bar, a bere birra e sghignazzare con Inez e Pantera. Forse il muro era questo?
Alla fine del Ponte di Galliera, c’è un minimarket che vende birra gelata. Ne prendo una, salgo al Parco della Montagnola, da sempre conosciuto per il suo mercatino freak. Volete la verità? L’ho sempre evitato, quel mercatino. Perché ero punk e il freak non lo capivo. Mi sono seduta ed ho segnato sulla cartina (gentilmente offerta dal deposito bagagli) tutti i luoghi che volevo visitare. Per l’occasione, indossavo la maglietta T’AMMAZZO della band Go Go Ponies.
Le case occupate
“E mentre il Disco D’Oro, trasferitosi in via Galliera, vedeva un numero sempre più grande di assidui frequentatori da ogni parte, conobbi Albano (RIP) e Unni dalla Norvegia (RIP) che abitavano al civico 19 della stessa via”.
Cammino sotto i portici di via Galliera, finché lo vedo: il Disco d’oro. Bello, sì. Però è chiuso. Dannato San Petronio. Nel libro, questo luogo ricorre spessissimo: mi immagino i Raf Punk radunati qui fuori, il sabato pomeriggio, a decidere le sorti del Bo-Punk, senza immaginare che sarebbero rimasti nella storia. O forse si, lo sapevano benissimo. Tutti quelle fanzine (da Rockerilla a Banzai), concerti, volantini, band che nascevano come funghi allucinogeni nel sottobosco romagnolo. Guardo affascintata la saracinesca azzurra puffo del Disco d’oro e cerco con lo sguardo qualche traccia di dischi punk. Ma, in vetrina, non trovo nulla (ATTENZIONE! Nota inserita il 10/11 grazie al commento di Jimmy Pursey che trovate sotto: la sede del Disco d’Oro, all’epoca dei fatti narrati era in Via Marconi, non quella attuale in Via Galliera, dove il suo ruolo di ritrovo dei P&S declinò velocemente).
Rasento i muri sotto i portici, arrivo al civico 19. Qui c’erano le case occupate al primo e secondo piano, più una saletta prove al piano terra, stando a quanto racconta Tempi Selvaggi, a dimostrazione che “Bologna aveva le okkupazioni!”.
Non le ha avute solo nel 1980. Il movimento per l’occupazione delle case è andato avanti nel tempo, è arrivato fino al 2006 quando io stessa partecipavo ad assemblee e cortei in sostegno al diritto alla casa. Anche oggi, a Bologna e nel resto d’Italia, c’è chi occupa e lotta.
Tempi selvaggi però ne parla tralasciando questo aspetto: c’erano dei giovani punk che necessitavano di un tetto sulla testa per stare insieme, ascoltare musica, mangiare, bere e dormire. Non avevano soldi per pagare l’affitto, quindi occupavano. Ma sentite questa: guardate bene le foto, soprattutto quella di destra.
Aguzzate bene la vista, la vedete la scritta ʍ I PUNCK?
“Esistevano altre squat: via del Porto, via Borgo Nuovo… case sfitte in pieno centro recuperate come alloggi e ripristinate con impegno dagli occupanti per renderle vivibili e trasformarle in piccoli centri di ritrovo”.
Che vi dicevo? Si occupava perché si voleva stare insieme, condividere uno spazio, oltre che i testi. Percorro via San Carlo, arrivando fino a via del Porto alla ricerca di qualche traccia di quelle occupazioni. Incontro l’Osteria San Carlino che FORSE è quella che faceva entrare i punx, oltre al bar Tex, mentre il resto dei locali bolognesi li schifava. Guardo dentro un portone e c’è gente seduta in cerchio che discute: che siano degli occupanti? M’illudo di si e sogno che dietro queste persiane chiuse sulla facciata rossa, ci sia qualcuno che stia ascoltando musica.
E come alla fine di un lungo viaggio, ti viene fatta una domanda fondamentale: Speed o Resto del Carlino?
Oi! Oi! Oi!
Oltre a farti immergere nel periodo storico e politico degli anni Ottanta, Tempi selvaggi ti aiuta a capire come il punk si sia generato e riprodotto nutrendosi di questi eventi e sentimenti, come poi sia arrivato l’Oi! e la cultura skinhead, quali fossero le linee comuni e quali le divergenze, come l’estrema destra si sia poi avvicinata fino a diventarne l’aspetto più clamoroso (nel senso che, nel sentire comune, skinhead UGUALE nazista) . Quando, nel libro, arrivano gli skinhead e la musica Oi! ci si diverte, tra politica, nichilismo, simbologia e condivisione dei testi. Se siete anche solo curiosi di scoprire qualcosina in più su questa cultura, DOVETE leggere questo libro: vi sarà tutto più chiaro. O forse no, ma almeno non parlerete più di cose che non sapete.
Sicuramente, come è accaduto con me, programmerete un nuovo viaggio-pellegrinaggio a Londra, stavolta cercando di seguire la scia di reggae e oi! del The last resort o del Bali hai (la mia ultima volta a Londra l’ho dedicata ai The Clash, mia passione carnale e ideologica, ragione del mio animo punk, mania ossessiva, cosa che mi ha avvicinato ancora di più a Nove).
Tra uno skin e l’altro, mi è venuta fame: perché non pranzare all’Osteria dell’orsa, quella che ospitò il primo concerto dei Nabat?! Beh, perché c’era una fila da spavento. E pensare che una volta Maurizio, il proprietario compagno, ci organizzava concerti di sporchi e cattivissimi punk. Ora, a San Petronio, i turisti stanno diligentemente in fila per entrare. Io, invece, in onore del viaggio oltre la Manica di Nove, vado al pub in via Zamboni a bere birra.
C’è un passaggio del libro che mi ha fatto davvero impressione. Direte: con tutto quello che succede nel libro, perché proprio questo? Leggetevelo anche voi e poi mi direte. Non voglio spoilerare, quindi non dirò nulla. Però sono andata sul luogo, pensando: ma io ci sono passata mille volte all’incrocio di via Indipendenza e Rizzoli, possibile che non abbiamo mai visto il sottopassaggio? Possibilissimo, perché è sempre stato chiuso, da che ne ho memoria.
Eccolo qui: bellissimo nel suo abbandono.
Morale della favola punk
Io questo libro me lo sono davvero gustato.
La trama ti tira dentro, i personaggi sono vivi, i sentimenti esplodono, i grassetti e le maiuscole urlano, i disegni spiazzano, i collages di Cesare Ferioli parlano e feriscono.
Voglio fare i complimenti e ringraziare di cuore Roberto Colombari per il tempo immane che avrà certamente speso nel fare un lavoro di ricerca pazzesco e nel raccontarci una storia che forse è vera forse no, ma chissenefrega. Non scherzo quando dico che Tempi Selvaggi è un preziosissimo archivio di musica, film, libri, idee, sentimenti, storia.
Direi che posso chiudere così, con la foto che finirà sulla mia tomba.
CREDITS
Autore: Roberto Colombari
Illustrazioni & Collages: Cesare Ferioli
CLUEB Casa Editrice
CONTATTI
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In chiusura, storia simpatica.
Dopo una giornataccia di lavoro, dopo la tangenziale intasata, arrivo al Parco Lambro (Milano). Parcheggio e mi siedo alla solita panchina. Tiro fuori dallo zaino Tempi Selvaggi e una birra da 33. Fa freddo. Ho gli anfibi e il felpone col cappuccio. Me ne sto là a farmi gli affari miei, quando si avvicina un tizio sui settanta e mi fa “salve non vorrei disturbarla…“. Io lo fisso male. Lui continua “no dico, non vorrei disturbarla… ma lei lo sa che questo weekend ci sono le elezioni qui a Milano?“. Continuo a fissarlo male, non dico una parola. Lui insiste e non molla mica “Dico, le elezioni, è interessata?“. Niente, non caccio una parola e continuo a guardarlo male malissimo. Cos’è che non ha capito tra anfibi, libro e birra? Ma tant’è: lui va avanti imperterrito: “Ecco, le elezioni, insomma, se le interessano! Lei per caso è di area leghista?“. Sipario.
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Nannucci si trovava in Via Oberdan 7, una traversa di via Rizzoli, la via con le due Torri in fondo. La sede del Disco d’Oro all’epoca dei fatti narrati era in Via Marconi, non quella attuale in Via Galliera, dove il suo ruolo di ritrovo dei P&S declinò velocemente.
A me il libro non è piaciuto molto, ma probabilmente perchè non me fotte nulla della nostalgia per quei tempi che ho vissuto pure io a partire dal 1981. Suppongo che invece per i millennials e simili, sia una testimonianza dei tempi che non hanno vissuto. Peccato che sia un romanzo con varie discrepanze storiche: ma i romanzi sono i romanzi, la storia vera è la storia vera.
Ciao Jimmy, ho inserito i tuoi commenti su Nannucci e Disco D’oro nell’articolo. Grazie. Certo, vivere il punk e leggerlo trent’anni dopo sono cose ben diverse: probabilemtne immagini cose che in realtà non sono mai state. Però qesta recensione non voleva essere nostalgica, volevo
portare il libro ai giorni nostri, che sono già ben diversi da quelli in cui ero adolescente io, figurarsi rispetto agli Ottanta. Storia vera o finzione? Io direi chissenefrega: come dici tu, i romanzi sono romanzi. Mi fa piacere che tu abbia letto l’articolo e voluto commentarlo. Francesca.
P.S. di quello di prima.
L’immagine con la didascalia ‘Collage di esare Ferioli’ [sic], non è un collage di Ferioli, ma il volantino originale come fu distribuito da Raf & amici il giorno dei Clash a Bologna.
Ciao Jimmy, grazie dell’osservazione, cambiamo la didascalia errata.
Complimenti a Francesca Vantaggiato per lo spaccato di storia bolognese e grazie per il bellissimo ricordo di Barazzone.
sper di trovare ancora il libro, sono molto curioso di leggelo…..